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C'era una volta : La rosa di Paracelso
Autore: Beppe46 (Notizie dello stesso autore)
Notizia inviata il: 13/03/12 08:40
Notizia riferita al: 13/03/12
Letture: 2443
C'era una volta

La rosa di Paracelso

Chiuso nel suo laboratorio Paracelso chiede a Dio di inviargli un discepolo. Imbruniva. Il magro fuoco del camino proiettava ombre irregolari quando bussarono alla porta. Uno sconosciuto entrò. Anch’egli era molto stanco. “Ho camminato tre giorni e tre notti per arrivare a casa tua. Voglio diventare tuo discepolo. Ti ho portato tutti i miei beni”.
Tirò fuori una borsa e ne rovesciò il contenuto sul tavolo. Le monete erano molte, tutte d’oro. “Queste monete non sono altro che la prova del mio desiderio di apprendere. Voglio percorrere al tuo fianco, d’ora in poi, la via che conduce alla conoscenza”.
Avevano cominciato la conversazione in latino, ora parlavano in tedesco. Il giovane prese dal vaso una rosa recisa e rivolgendosi al maestro gli disse: “Affermano che tu puoi bruciare una rosa e farla rinascere dalle ceneri, per opera della tua arte. Lascia che io sia testimone di questo prodigio. Ti chiedo solo questo; poi la mia vita sarà per sempre tua”.
“Sei molto credulo” disse il maestro. “Non so che farmene della credulità, io esigo da te la fede”.
L’altro insistette: “E’ proprio perché non sono credulo che voglio vedere con i miei occhi l’annientamento e la risurrezione della rosa”.
Paracelso: “C’è ancora fuoco nel camino”. E al discepolo: “Se gettassi la rosa tra le braci, crederesti che le fiamme l’hanno consumata e che la cenere sia l’unica cosa reale rimasta. Ma io ti dico che la rosa è eterna: solo la sua apparenza può cambiare”.
Il discepolo rispose freddamente: “Ti chiedo solo la grazia di mostrarmi la scomparsa della rosa. Poco importa se tu operi per mezzo della parola e con gli alambicchi”.
Paracelso rifletté e infine disse: “Se lo facessi diresti che il prodigio sarebbe conseguenza di un mio atto magico. Questo prodigio non ti donerà la fede che cerchi. Lascia stare, dunque la rosa”.
L’altro replicò tremando: “Ti supplico di farmi vedere la cenere e poi di nuovo la rosa. Non ti chiederò mai più altro. Crederò solo quando i miei occhi avranno visto il prodigio”.
Bruscamente afferrò la rosa che Paracelso aveva lasciato sul leggio e la gettò tra le fiamme. Il colore si perse e rimase solo un po’ di cenere. Per un istante infinito egli attese le parole e il miracolo.
Paracelso era rimasto impassibile. Disse: “Tutti i medici e tutti gli speziali di Basilea affermano che io sono un mistificatore. Essi sono nel vero”.
Il giovane si sentì pieno di vergogna. Paracelso era un ciarlatano, un visionario e lui, adesso, un intruso. Si inginocchiò davanti al maestro e gli disse: “Ho agito imperdonabilmente. Mi è mancata la fede che il Signore esige dai credenti”.
Parlava con la pietà che quel vecchio gli ispirava, tanto venerato ed invidiato, tanto insigne e perciò tanto vuoto.
Pracelso rimase solo. Prima di spegnere la lanterna e di sedersi sulla poltrona consumata dal tempo, raccolse nell’incavo della mano il piccolo pugno di cenere e disse una parola a bassa voce.
E la rosa risorse.



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