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C'era una volta : Dal Diario di don Giovanni Cordero, parroco di Boves nel 700.
Autore: Beppe46 (Notizie dello stesso autore)
Notizia inviata il: 04/02/12 14:20
Notizia riferita al: 04/02/12
Letture: 1989
C'era una volta

Dal Diario di don Giovanni Cordero, parroco di Boves nel 700.

“Le stravaganze dei tempi, quel poco di vita che mi concesse l’Altissimo Iddio, da me veduti, mi spingono a lasciarmi di essi ai posteri la perpetua ricordanza, ma tanto per soddisfare alle curiosità di chi leggerà, ma quanto affinché conoscano esser vicinissimo ciò che sta scritto nella Sapienza, cioè: mai nulla di nuovo sotto il sole”.
Iniziano così le memorie di don Giovanni Cordero, nato a Boves nel 1709 e per “grazia di Dio sacerdote celebrante”. Don Cordero inizia a scrivere il suo diario nel 1741, all’età di 36 anni. E’ un piccolo quaderno di 77 pagine e si parla degli anni che vanno dal 1734 al 1775.
Non è né un libro di storia o politica, né si parla molto della gente. E’ però una miniera di informazioni sul clima, sui prezzi, su alcune attività prevalenti. A tratti qualche breve notizia storica come l’assedio di Cuneo, il passaggio di armate straniere, le carestie. Continue pure le osservazioni sul tempo e sui ritmi delle stagioni. Anche allora il tempo, come oggi era un po’ pazzo, forse ancora di più, con nevicate fuori stagione, freddi intensi nei mesi caldi, gelate che distruggevano i raccolti.
L’attenzione continua per il tempo sembra tipica di un mondo contadino, legato alla terra e ai raccolti. Il suo diario è uno strumento modesto ma interessante per conoscere la nostra storia e le nostre radici. Cominciamo la lettura, molto riassunta per motivi di brevità.
Nel 1734 il 22 settembre, festa di S. Maurizio, si leva un vento fortissimo; il cielo si copre e nevica nella notte. Cade mezzo piede di neve con grave danno per gli alberi, in particolare quelli di castagno che vengono in gran parte squarciati.
Nevica molto tardi, invece, due anni dopo nel 1736. Nevica per tutta la giornata del 22 maggio. La neve sotterra tutti i grani e la campagna rimane ghiacciata. "Con tutto ciò, grazie a Dio, il raccolto fu assai sufficiente".
Nel 1740 nevica dal 25 al 28 gennaio e nella piazza di Boves si misurano quattro piedi e più di neve. Poi inizia un freddo intenso che dura sino alla fine di marzo. “ Le viti e gli alberi sarebbero seccati, ma le neve di cui erano coperti li difese. La campagna si scopre solo a metà aprile, ma il 2 maggio si leva un vento forte, freddo e gagliardo che getta giù dai tetti le ardesie bastanti per uccidere un uomo”. Il freddo dura per quasi due mesi perché il 24 giugno tutti sono ancora vestiti come d’inverno. I raccolti sono talmente ritardati che “nessuno vecchio ricordava di essere giunto a tal segno”. Tempaccio, gelo e danni alla campagna anche in autunno: gelo a metà settembre e occorre raccogliere le uve così come sono, mezze mature e mezze verdi, tanto fredde e senza vigore che bisogna la lasciarle nei tini 20 o 30 giorni dove “di tanto in tanto davano qualche piccolo segno di bollire”. Il vino sarà torbido, agro e debole. Gelano anche le castagne. “ Le poche raccolte, messe a cuocere, essendo gelate si disfacevano nell’acqua come cera”. Per compensare il freddo precoce, a dicembre veniva il bel tempo e “la neve si liquefò tutta perché alla metà di questo mese si levò un vento marino assai caldo, che non si poteva muoversi senza sudare. Durò il caldo tutto dicembre e anche parte di gennaio”.
Qualche nevicata pazza anche nel 1741 (1° maggio). Molto scarso il raccolto del fieno, scarsissime le castagne, le noci, la segala, mentre è abbondante il grano. “Stante la mancanza di castagne, la miseria nell’inverno e nella primavera successiva fu all’eccesso….la scarsezza di denaro era tale, che molti si trovarono quasi a perire, perché non si trovava vendere alcuna cosa..”.
Nel 1744, guerra di successione austriaca, spagnoli e francesi assediano Cuneo con ottomila cavalli e quarantamila fanti. Francesi e spagnoli sono convinti di impadronirsi di Cuneo in 3 o 4 giorni, ma la cosa si fa più complessa. La città viene cannoneggiata notte e giorno dal 14 settembre al 21 ottobre, giorno in cui rinunciano all’assedio ritirando l’armata verso Demonte, dove poco a poco si riportano verso Nizza. Preparando l’assedio, gli spagnoli ordinano alle comunità di Boves, Peveragno, Beinette e Chiusa Pesio di consegnare tutto il foraggio e una grande quantità di grano. Richiedono inoltre carni, bestie, vino e altri generi e minacciano sindaci e consiglieri. Boves si salva dal saccheggio con qualche cassa di grano e presentando qualche regalo ora ad un generale, ora ad un altro. Al contrario Peveragno non accetta e organizza una milizia di difesa . “Gli spagnoli, entrati in paese, appiccano il fuoco alle prime case e si danno a saccheggiare. Allora accorre il parroco e supplicando il generale che li comandava, fece cessare il saccheggio e solo nove case furono bruciate. Alla Chiusa gli spagnoli, entrati che furono in paese, in un istante vi appiccarono il fuoco e lo saccheggiarono. Poi si levò un vento fortissimo che accese le fiamme e abbruciò quasi tutto”.
“Il 2, il 3 e il 4 ottobre il Gesso in piena distrugge tutti ponti tagliando il passaggio agli spagnoli. Di tale occasione approfittarono i nostri che inviarono a Boves 800 uomini i quali, combattutosi per ben 3 ore contro i francesi, li fecero prigionieri”.
Oltre la guerra, in quell’anno, si abbatté sui contadini un flagello: una tremenda epidemia colpisce i bovini. L’epidemia tocca tutto il Piemonte e a Boves dura da settembre a gennaio. “Tale fu la strage che nel territorio nostro, dopo la rivista che si fece, non si trovarono che 200 bovine. Entrato detto malanno nella stalla è difficile salvarne una, ma il male non era poi in tutti i luoghi simile. Alcune morivano in poco tempo, altre duravano 10, 12 giorni”. I sintomi sono una forte diminuzione del latte, lacrimazione agli occhi, il rifiuto del cibo e la diarrea. Si tentano tutte le cure, ma tutte vane. La malattia si ripresenta un anno dopo. Gran parte della campagna è desolata da guerre e epidemie.
Guai per i bachicoltori nel 1750. Ma invece meglio l’anno dopo per i bozzoli, ma è drammatica la raccolta del grano nel 1751. “Io non vidi mai miseria così grande e così universale. Si vedevano andar raminghe molte famiglie, anche quelle che possedevano riguardevoli pezzi di terra e si trovavano ad emigrare perché non trovavano per scarsità di denaro a vendere i beni. Faceva compassione veder famiglie intere mendicare, specialmente i montanari i quali erano magri, neri e direi quasi scheletriti perché mancava loro il nutrimento. Voglia il Supremo che nissuno vegga un anno così terribile”.
Nel 1753 la mala sorte se la prende con i castagni. Nel mese di luglio i vermi hanno spogliato tutti gli alberi delle foglie. Gli effetti sono tremendi. “Io mi sono recato più volte a visitare e mi sono fatto una media che sul fine di agosto ogni pianta aveva più di 300 nidi di detto seme. I nidi erano più o meno della grandezza di una noce; ne sciolsi uno e trovai che ogni nido conteneva 200 e più granelli…Nessun rimedio trovar si poteva per disfarsene e distruggerli e allora la Comunità ricorse a Dio”.
Della salvezza dei castagni si parla nel 1754, perché “ricevuta dal papa la supplica si fa in Boves una processione solenne e diffatto appena nati gran parte dei vermi rimasero morti e quelli che uscirono non fecero più alcun danno e nemmeno moltiplicarono e così se ne perse affatto la semenza”.
Gli anni 1754 e 1755 sono gli anni delle valanghe. Nevicate tardive devastano la regione e uccidono parecchie persone. Non manca un caso incredibile e piuttosto fortunato. “ Si è che un montanaro si trova sul tetto della sua casa che scarica la neve e l’impeto di una valanga improvvisa lo trasporta in aria e lontano un buon tiro di pistola, il quale si trova senza sapere come sopra un ramo di un noce senza nulla altro aver sofferto che la frattura di una coscia. La sua casa venne rovesciata e uccisa tutta la sua famiglia”.
Le valanghe ricompaiono puntuali l’anno successivo, il tragico 1755; non più a Boves, ma a Limone, Vernante e Demonte. A Vernante si hanno 52 morti, a Bergemoletto di Demonte circa 100 e lì si verifica un caso strano. (Della grande valanga di Bergemoletto del 19 marzo 1755 vi parlerò con una narrazione specifica una delle prossime volte).
Sempre una noticina a parte informa che il 1° novembre di quell’anno vi fu il famoso e terribile terremoto che distrusse Lisbona.
Tempo pazzo anche nel 1756: caldo sino a marzo, poi gelo sino a giugno. Il 7 giugno vento e pioggia che lascia, senza far danno, sulle foglie una polvere rossa. Altri guai nel 1757. Anche per quell’anno una piccola annotazione storica: il 5 gennaio attentato al re di Francia. “L’attentatore è giustiziato nel mese di marzo con terribili tormenti”.
L’anno 1758 pare l’anno meno caldo del secolo tanto che “non fece mai 4 giorni successivi di caldo”. Il freddo è tale che nella stessa Napoli, il 25 luglio molti hanno ancora abiti d’inverno.
Solo notizie metereologiche per il 1762 ed il 1763, anno in cui il caldo di marzo e le gelate di maggio provocarono danni alla campagna. Breve l’estate del 1766 con luglio freddo e piovoso (il 2 nevica sui monti). Gravi danni in novembre per le continue piogge.
Ancora incidenti per il maltempo nel 1772. Primavera fredda, luglio e agosto caldissimi, senza una goccia di pioggia. Il 16 settembre, dopo 3 mesi di siccità, cade tanta pioggia che i fiumi strariparono recando molto danno alla campagna e facendo annegare molte persone. Ancora fame per la maggior parte della popolazione. La scarsità del raccolto fa aumentare i prezzi e manca il cibo. “Il sovrano quando seppe di una miseria così universale ricorse a tutti i mezzi possibili onde soccorrere i poveri. Fece venire dall’estero la granaglia che poteva, fece fare rigorosamente la consegna dei viveri, perquisizioni nelle case e obbligò quindi la comunità a aprire magazzini, vender a credito granaglia …. Onde darne ai poveri e soccorrere i sudditi. Nei nostri territori e specialmente nella provincia di Cuneo si sofferse la fame, ma in confronto di tutto il Piemonte fu ancora poco”. La carestia fa salire alla e stelle il prezzo dell’olio, soprattutto quello di noce, ma anche quello d’oliva. Ma molto peggiori saranno le cose negli anni successivi.
Grande nevicata nel dicembre del ’73 e nuova più grave carestia nel 1774. Poi: “Grandissima fu la miseria nell’anno 1775. Il sovrano mise riparo e fece venire gran quantità di grano dall’estero”.
Continua la descrizione della miseria e della povertà, sino alla soluzione finale. Nei primi 4 mesi di quell’anno, a causa della siccità, la terra è tanto dura che non esce un filo d’erba. “Da tutte le parti c’è mancanza d’acqua e gran parte delle fonti e dei pozzi sono asciutti. Si faceva molta preghiera e penitenza per influenzare la Divina Provvidenza onde placare l’ira di Dio. Mancava il grano ed i poveri soffrivano la fame. In principio di maggio i seminati erano molto rari e non molto alti che tutti diggià avevano perso la speranza del raccolto. Ma… mosso il buon Dio a compassione mandò la pioggia il 2, il 5 ed il 7 maggio … ed ecco che verso la metà di giugno la campagna tutta è assai cambiata”. Ovviamente buoni i raccolti, tranne che per il fieno.
Termina qui il quaderno di don Cordero. Per concludere: una miniera di notizie poco organiche, ma utili per comprendere la storia di un paese del 700. Mancano notizie precise sul come viveva la gente: orari di lavoro dettati dai cicli stagionali in campagna, attrezzi di lavoro, età media, malattie, credenze.
Si ricava l’immagine di una realtà statica, immobile, di un rapporto molto diretto e quotidiano con la religione; una civiltà contadina che si è riprodotta sino al secolo scorso senza profondi mutamenti. Scarsi i collegamenti con la grande storia (quella dei re, dei popoli e dei potenti).
Delle guerre si parla quando gli eserciti devastano le campagne ed i paesi. Grande interesse soprattutto per il tempo, per il rischio di siccità o di devastazioni , per l’incombere di epidemie e carestie.
Insomma una lettura utile non solo per curiosità, ma per dare un piccolo spaccato della nostra storia.

P.S. Ho cercato un riscontro alle affermazioni di don Cordero e ho scoperto che il terribile inverno 1740 ( quello dei quattro piedi e più di neve e il gelo successivo) fece in Francia 200.000 vittime, meno rispetto alle 600.000 del più terribile inverno 1708/09.

Da Sergio Dalmasso


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Commenti
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Autore Commento
Andrea81
Inviato: 5/2/2012 9:04  Aggiornato: 5/2/2012 9:04
Guru
Iscritto: 26/2/2006
Da: S.Ambrogio (NO TAV)
Inviati: 8223
 Re: Dal Diario di don Giovanni Cordero, parroco di Boves ...
Beh, questo dimostra che tutto sommato gli eventi estremi ai quali siamo abituati oggi ci sono sempre stati, forse anche peggiori (alla faccia dell'inquinamento e risaldamento globale, che certo influiscono). E' cambiata la comunicazione, ora ogni giorno riceviamo notizie e immagini da tutto il mondo, un tempo la comunicazione era molto limitata.

Autore Commento
asthewind
Inviato: 4/2/2012 21:56  Aggiornato: 4/2/2012 21:56
Allievo
Iscritto: 11/3/2007
Da:
Inviati: 29
 Re: Dal Diario di don Giovanni Cordero, parroco di Boves ...
Però...che testa dura !
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