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Il Glorioso Rimpatrio



Il Glorioso Rimpatrio

Mille uomini determinati e armati di tutto punto si ritrovarono la sera del 17 agosto 1689 a Prangins sulla sponda svizzera del lago di Ginevra. Requisite le barche ai pescatori passarono sull’opposta sponda ed iniziarono un lungo percorso a piedi che li avrebbe riportati nelle valli da dove erano stati allontanati con la forza due anni prima. Questi ardimentosi, “ più che il ritorno alle case, alle terre e a pascoli delle loro montagne, stava a cuore il ritorno alla libertà: libertà di professare la religione dei loro padri, antica di cinquecento anni: la religione valdese, ostinatamente professata da generazioni di montanari, incuranti di bolle papali, editti ducali, persecuzioni e stermini.”
Non fu un viaggio facile: questi uomini dovettero fronteggiare gli eserciti del re di Francia e del duca di Savoia. Sebbene fatto in piena estate, il cammino fu ostacolato dalle neve e dalla pioggia battente. Vi furono combattimenti e perdite di vite umane. Tuttavia i valdesi riuscirono alla fine a ritornare nelle loro terre e quello fu il loro Glorioso Rimpatrio.
Perché queste persone erano così lontane dalle loro valli di origine ? Erano state costrette all’esilio per aver salva la vita, dopo l’editto del duca di Savoia che vietava il culto valdese nei suoi territori. Fu un eccidio quello che si scatenò: dei 12 mila valdesi presenti nelle valli molti perirono nella resistenza, altri furono internati nelle prigioni. Molti abiurarono per aver salva la vita e furono deportati lontano dalle loro terre. Molti dei prigionieri furono venduti e costretti a remare nelle galere, moltissimi perirono. I bambini venivano sottratti alle famiglie di origine per essere istruiti alla religione cattolica. I beni venivano confiscati e svenduti e le terre affidate a coloni savoiardi cattolici. Fu la diplomazia svizzera a prospettare l’unica soluzione percorribile per i valdesi: l’esilio in terra riformata. Tutta l’Europa protestante rabbrividì quando venne a conoscenza di questi fatti e fu assai solidale offrendo aiuti concreti.
Quando questi mille partirono per far ritorno alle loro terre, la situazione politica stava mutando. Erano guidati da un valoroso e abile pastore: il colonnello Henri Arnaud, deciso a riportare i suoi nei “retaggi”, cioè quelle terre che Dio aveva concesso loro da tempo immemorabile. In 16 giorni, di monte in monte, di valle in valle, questi ardimentosi raggiunsero la val Pellice e a Sibaud, poco sopra Bobbio si tenne uno storico giuramento. Solo nella tarda primavera dell’anno successivo, dopo una disperata resistenza sui loro monti, improvvisamene s’aprì per loro uno squarcio di speranza. Vittorio Amedeo II si sganciò dal potente alleato francese per allearsi con la parte avversa e i valdesi, posti al confine dei suoi territori, potevano risultare utili. Solo alcuni anni più tardi il duca di Savoia emanò un editto che ristabiliva il culto valdese, restituiva i beni confiscati e i minori sottratti alle loro famiglie, ma solo nel 1848, con le “lettere patenti” , Carlo Alberto riconosceva ai sudditi valdesi pari diritti civili e politici.
Per saperne di più , consiglio il pregievole volume di Riccardo Carnovalini e Roberta Ferraris: “Il Glorioso Rimpatrio” Terre di Mezzo Editore. 20 gironi a piedi tra Francia e Piemonte ripercorrendo le tappe del ritorno dei valdesi dall’esilio. Da questo volumetto sono state estratte le notizie sopra esposte.

4 Immagine(i), Inserita il 21/08/2011

La tragedia del Beth



La tragedia del Beth

Più di cento anni fa, martedì 19 aprile 1904, avvenne la prima grande tragedia sul lavoro dell’Italia Unita. Una grande valanga portò distruzione e morte nel vallone del Beth in val Troncea uccidendo 81 minatori e ponendo fine ad un’esperienza di vita e lavoro che tra la seconda metà dell’800 ed il primo decennio del 900 aveva connotato questa valle.
Ad una economia basata quasi esclusivamente sulla produzione agricola locale, si era infatti inserita in modo improvviso un’esperienza industriale che trova la sua origine e motivazione nel clima di assoluta e cieca fiducia nell’evoluzione e nelle scoperte della tecnica che caratterizzava la società europea di quel periodo. L’interesse crescente era per il filone di calcopirite presente al colle del Beth, sullo spartiacque tra la val Germanasca e la Val Troncea. Da questo minerale, infatti, si ricavava rame nella percentuale del 3,5 % e zolfo nella misura del 40%.
Il minerale estratto veniva portato alla stazione di monte e da qui i carrelli venivano calati, agganciati ad una fune di discesa, alla grossa stazione d’angolo posta a 2435 mt. i cui imponenti ruderi sono tuttora presenti al centro del vallone del Beth. Di qui il materiale proseguiva sino alla Fonderia La Tuccia posta a fondovalle.
Prima di raccontare della tragedia merita fare alcune considerazioni in merito alla vita dei minatori che lavoravano al Beth. Il lavoro era massacrante, con turni di 12 ore: lo scavo e l’estrazione avvenivano con mazze, picconi e dinamite per una paga settimanale che si aggirava sulle L. 3.50. Si lavorava tutto l’anno, anche d’inverno; i ricoveri erano freddi e umidi, i letti erano giacigli di paglia che veniva sostituita una volta l’anno. L’acqua si ricavava facendo sciogliere la neve e il cibo veniva cucinato a turno sull’unica stufa disponibile. Nevicate e valanghe interrompevano spesso i collegamenti bloccando per lunghi periodi i minatori come quando nel 1900 quaranta minatori rimasero bloccati tutto l’inverno al Beth.
Proprio per il timore di rimanere bloccati a causa delle abbondanti nevicate cadute i giorni 17 e 18 aprile, i minatori decisero il 19 di tentare la discesa a valle. Verso le 12.30 all’improvviso il dramma. Un colpo di tuono, fortissimo, si fece udire e prima ancora che i minatori si fossero riavuti e pensato alla difesa, essi vennero come fuscelli trasportati nel vallone da una massa enorme di neve che pareva una montagna. Dalle testimonianze dei sopravvissuti pare che l’enorme valanga si sia staccata dal versante settentrionale del Ghinivert e che a causarla possa essere stato il fragore di un tuono. Ai primi soccorritori lo spettacolo che si presentò ai loro occhi era terribile: tra il bianco della neve spiccavano grosse macchie di sangue, arti spezzati, oggetti da lavoro, travi ed assi.
La ricerca ed il recupero delle vittime si protrasse per più di due mesi: solo il 28 giugno fu rinvenuto il corpo di Alessio Faure, un minatore perito a causa di una slavina in realtà caduta precedentemente. La conta finale dei corpi recuperati sarà in fatti di 82. Solo allora fu chiusa la fossa comune, al cimitero di Laval all’inizio della val Troncea, in cui giacciono corpi di 74 delle 82 vittime in gran parte originarie della val Chisone e Germanasca. Una colonna tronca, recentemente restaurata, ricorda l’evento. Questa grande tragedia ebbe ampia risonanza sulla stampa nazionale, ed in molti comuni, anche molto lontani, si effettuarono sottoscrizioni e furono stanziate somme per venire incontro alla famiglie dei minatori periti sotto la valanga.
Per chi voglia approfondire l’argomento si segnala il volume: di Avondo – Castellino – Rosselli “Pragelato. Il beth e le sue miniere ad un secolo dalla grande valanga”. Alzani Editore

13 Immagine(i), Inserita il 21/08/2011

Salita al Niblè



Salita al Niblè

Località di partenza: Spiazzi appena oltre la colonia alpina Viberti. Grange della Valle –Rifugio
Levi Molinari mt. 1793
Dislivello: mt. 1600 c.ca
Tempo di salita: 5 ore e 15 minuti c.ca
Tempo di discesa: 3 ore e 30 minuti c.ca
Difficoltà: E EEA nei tratti di nevaio nei quali è opportuno calzare i ramponi
Riferimenti: Carta dei sentieri e stradale 1:25.000 n°1 Alta Valle Susa oppure la n° 3 Val Susa -
Val Cenischia – Rocciamelone – Val Chisone

Il Monte Niblè, per i francesi Pointe Ferrand, è una bella cima, da tutti ambita e presto o tardi da tutti salita, un po’ per le difficoltà , che poi sono facilmente superabili, un po’ per l’esteso e vasto panorama che da lassù si gode in una giornata tersa e serena. Come detto l’ascesa non presenta particolari difficoltà se non date dalla lunghezza del percorso, anche se, a mio giudizio, sono indispensabili almeno i ramponi, soprattutto se si affrontano i nevai al mattino dopo il rigelo della notte. Un breve tratto esposto porta poi alla croce di vetta. Io non mi sono sentito di affrontarlo. Presso il bivacco dedicato a Walter Blais, un ragazzo di Susa morto giovanissimo su questi monti, stazionano spesso numerosi stambecchi per nulla turbati dalla presenza umana.

31 Immagine(i), Inserita il 12/08/2011

Un anello per le Casses Blanches e il monte Chabrière



Un anello per le Casses Blanches e il monte Chabrière

Località di partenza: Bivio poco oltre Eclause mt. 1400
Dislivello: mt. 1350 c.ca
Tempo complessivo: 6 ore e 30 minuti c.ca
Difficoltà: E/EE
Riferimenti: Carta dei sentieri e stradale 1:25.000 n° 1 Alta Valle Susa Fraternali Editore Carta dei sentieri e dei rifugi n° 104 IGC Alta Valle Susa – Valle Stretta

Questo anello percorre lungamente un tratto dell’interessante zona sottostante la cerchia di monti che vanno dal Seguret al Niblè, passando per la Cima del Vallonetto e il Truc Peyrous, raggiungendo la Cima Casses Blanches, bianca pietraia,passando per il notevole ricovero, ora diroccato, costruito nel lontano 1899 come riporta l’iscrizione sul frontale dell’edificio. Raggiunta appresso la vicina, modesta cima Chabrière si ritorna poi a valle. La traccia che unisce questo rilievo al ricovero delle Casses Blanches fa parte di un insieme di sentieri e strade (sentiero dei 2000), che collegavano Giaglione con in forti in quota sino alla zona di Bardoneccia. Purtroppo una parte di questa via, nei pressi del colle dell’Argentera, da sempre instabile, presenta un tratto franato, assai esposto, difficile da percorrere e pericoloso, cosa che si può osservare dalla cima delle Casses Blanches. Una ricognizione sul posto, percorrendo l’alto vallone del Seguret sino al colle dell’Argentera e oltre, potrà permettere di comprendere se l’ostacolo è superabile oppure no.

29 Immagine(i), Inserita il 08/08/2011

Sul problema dei cani pastore a guardia delle greggi



Sul problema dei cani pastore a guardia delle greggi

Ciò che mi fa più paura, di questi tempi, quando vado in montagna, sono i sempre più numerosi cartelli che segnalano la presenza di questi oramai famosi cani bianchi, razza maremmano-abbruzzese, utilizzati per proteggere il bestiame, specie quello di piccola taglia (ovini e caprini), da possibili predatori nella fattispecie cani selvatici o inselvatichiti o dai lupi. Leggendo ho scoperto che questi cani sono solo di protezione e non di conduzione delle greggi, che si sentono in tutto appartenenti al gregge stesso considerandolo come parte del proprio branco, del proprio territorio e lo difendono da qualsiasi minaccia e pericolo.
Proprio lo scorso autunno, di ritorno da una gita fatta nella media val Pellice, per la prima volta ho visto, lungo il tragitto, numerosi cartelli che segnalavano la presenza di questi cani unitamente ai comportamenti da adottare nel caso in cui li si dovesse incontrare. La cosa mi aveva molto preoccupato anche perché era la prima volta che venivo a conoscenza della cosa. Subito dopo, mentre percorrevo la mia strada verso valle, mi sono imbattuto in un gregge misto di pecore e capre protette da questi cani che sembra debbono viaggiare sempre in coppia. Mi sono sentito raggelato perché questi mi sono venuti incontro con un fare minaccioso e solo la presenza del capo branco (il pastore) mi ha tratto d’impaccio. La mia preoccupazione è di molto aumentata quando mi sono sentito dire che in fondo mi ero trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato. E se non ci fosse stato il pastore ? E se qualcuno per paura perdesse la calma adottando comportamenti sbagliati, tipo fuga precipitosa o altro ? E come potrebbe reagire un bambino incontrandoli ? Questi e altri interrogativi mi sono venuti in mente anche dopo quell’incontro. Recentemente, in valle di Susa, ho rivisto quei cartelli e francamente confesso che sono stato indeciso se proseguire o tornarmene a casa. Infatti subito dopo li ho incontrati. Per fortuna erano all’interno di un recinto elettrico, a protezione del gregge, ma non hanno cessato mai di abbaiare sino a che sono sparito dai loro occhi.
Forse la faccio troppo grossa, forse non sono così pericolosi come ci fanno credere, ma la presenza dei cartelli di avvertimento ha un significato ben preciso.
Che il lupo sia tornato in pianta stabile sui nostri monti, oramai è una cosa risaputa e in fondo non mi dispiace, anche se io non l’ho mai visto. Il solo fatto che la presenza di questi cani da difesa si stia diffondendo sempre più, significa che probabilmente il predatore, di danni ne fa e ne ha fatti al punto che adesso sempre più si parla di abbattimenti per limitarne i capi.
Non sono un pastore, non vivo di ciò che mi dà l’allevamento del bestiame, ma un po’ sto con il lupo. O sbaglio?

1 Immagine(i), Inserita il 08/08/2011

Un anello dalla conca dei 13 laghi al rifugio del lago Verde



Un anello dalla Conca dei 13 laghi al rifugio del Lago Verde

Località di partenza: Stazione d’arrivo del 2do tratto di seggiovia al Bric Rond mt. 2480
Dislivello: 700 mt.
Tempo di salita: 5 ore c.ca
Tempo di discesa : 2 ore e 30 minuti c.ca
Difficoltà: E
Riferimenti: Carta dei sentieri e stradale 1.25.000 n° 5 Val Germanasca – Val Chisone Fraternali Editore

Questo lungo anello è una tra le più belle escursioni che si possono fare in montagna. La traccia mette in comunicazione la conca dei 13 laghi con quella del rifugio del lago Verde percorrendo lungamente una mulattiera militare, a tratti ancora ben conservata, dove tratti in piano si alternano ad altri dove si sale e si scende, dove si guadagnano colli e si superano barriere rocciose raggiungendo facili cime. Si ha così modo di ammirare le montagne che cingono la conca di Prali e oltre, anche se, per alcuni tratti, l’itinerario passa sul versante della val Pellice. Lungo il percorso si innestano diverse mulattiere che consentono di scendere rapidamente a valle e di interrompere l’anello in caso di necessità.
Data la lunghezza, per effettuare l’intero percorso in una sola giornata è indispensabile utilizzare, per la salita alla conca dei 13 laghi, i due tratti di seggiovia. Altrimenti lo si può suddividere in due giorni, pernottando al rifugio del lago Verde o al vicino bivacco Soardi effettuando, il giorno seguente, un’escursione su una vetta della conca prima di ridiscendere a valle.
Poco prima del colletto della Gran Guglia, al termine di un lungo tratto ascendente, si incrocia il traliccio che regge la campana dedicata ai caduti della montagna.
Dal rifugio del lago Verde si può scendere a valle utilizzando il sentiero tradizionale, che tutti percorrono, oppure quello che s’abbassa sul lato opposto della valle; tutte e due conducono prima a Bout du Col e poi più in basso al parcheggio della seggiovia.
Infine, volendo salire alla conca a piedi, è necessario percorrere il sentiero che sale nel vallone del rio dei 13 laghi. La notevole traccia, si stacca sulla sinistra, là dove termina la strada asfaltata, ben oltre il parcheggio della seggiovia.

29 Immagine(i), Inserita il 03/08/2011

Un anello per i Picchi del Pagliaio e il colle del Vento del Forno. Salita alla Rocca Rossa



Un anello per i Picchi del Pagliaio e il colle del Vento del Forno. Salita alla Rocca Rossa

Località di partenza: Borgata Ruata mt. 1095
Dislivello: mt. 1300
Tempo di salita: 4 ore c.ca
Tempo di discesa: 3 ore c.ca.
Difficoltà: E/EE
Riferimenti: Carta dei sentieri e stradale 1:25.000 n° 6 Pinerolese - Val Sangone Fraternali Editore

Questo itinerario si svolge tutto all’interno del vallone del Ricciavrè, spoglio, aspro, desolato e selvaggio. Fa persin specie pensare che una valle alpina così configurata possa trovarsi a due passi da Torino. Partendo quasi da fondovalle, dalla borgata Ruata di poco a monte di Forno di Coazze in val Sangone, si percorre lungamente l’interminabile traccia che taglia in quota, sempre in costante ascesa, il pendio appena sotto i Picchi del Pagliaio raggiungendo infine l’ampia insellatura del colle del Vento del Forno che separa la Rossa Rossa, di cui si guadagna facilmente la cima, dal Monte Pian Real, assai impegnativo visto da questa parte. Raggiunta la conca posta sotto questo monte, si ridiscende poi a valle percorrendo tutto il vallone dove occorre prestare attenzione a seguire sempre i riferimenti che aiutano non poco a raggiungere il fondo.
Poiché nei mesi estivi la presenza di nebbie in questa valle è una costante, questo itinerario si presta meglio ad essere effettuato d’autunno prima della neve oppure nella tarda primavera.

30 Immagine(i), Inserita il 30/07/2011

Un panoramico anello nella valle di Rodoretto sino al colle della Valletta. Eventuale salita in vetta al monte Pignerol



Un panoramico anello nel vallone di Rodoretto sino al colle della Valletta
Eventuale salita in vetta al monte Pignerol

Località di partenza: Parcheggio all’interno del centro abitato di Rodoretto mt. 1430
Dislivello: mt. 1260
Tempo di salita: 4 ore e 30 minuti c.ca
Tempo di discesa: 2 ore e 30 minuti c.ca
Difficoltà: E/EE Salita al Pignerol: EE
Riferimenti: Carta dei sentieri e stradale 1:25.000 n° 5 Val Germanasca - Val Chisone Fraternali Editore

Il vallone di Rodoretto, con quello di Salza e Massello, è una valle laterale dell’ampio comprensorio delle valli del Germanasca la cui più importante è quella di Prali. Nondimeno queste valli, fuori dai soliti giri, hanno sempre un fascino particolare e le montagne che le cingono sono ragguardevoli, come il monte Pignerol.
Il vallone di Rodoretto termina con un’ampissima conca; due valichi, il colle di Rodoretto e il colle della Valletta, mettono in comunicazione questo angolo di mondo con la valle Argentera e con la val Troncea. L’itinerario proposto affronta inizialmente il lungo panoramico crinale divisorio tra il vallone di Rodoretto e quello di Salza portandosi prima al colle della Balma e poi al colle della Valletta dalla quale si può guadagnare la cima del monte Pignerol, alquanto impegnativa, per poi scendere a valle percorrendo a lungo lo sterrato del vallone che riporta a Rodoretto. Queste valli, a due passi da Torino, meritano un’altra considerazione: sono belle, molto belle, selvagge, particolari, ancora incontaminate e le montagne intorno di tutto rispetto.

30 Immagine(i), Inserita il 26/07/2011

Un anello per la Sea Bianca dalla Comba dei Carbonieri



Un anello per la Sea Bianca dalla comba dei Carbonieri

Località di partenza: Ponset, presso il ponte sul Pis, all’inizio del vallone della Gianna mt.1490
Dislivello: 1240 mt.
Tempo di salita: 3 ore e 30 minuti c.ca
Tempo di discesa: 2 ore e 15 minuti c.ca
Difficoltà: E/EE
Riferimenti: Carta dei sentieri e stradale 1:25.000 n° 7 Val Pellice Fraternali Editore

La Sea Bianca è una montagna sullo spartiacque Pellice – Po e il suo nome deriva dagli affioramenti di roccia biancastra presenti sul posto. La salita alla cima dal colle della Gianna non presenta alcuna difficoltà svolgendosi su pendii d’erba a modesta inclinazione, mentre il versante nord della montagna presenta una ripida parete rocciosa strapiombante sul sottostante vallone del Gran Chiot che si affronta per rientrare. Bello quanto poco conosciuto e frequentato, questo vallone, come quello della Gianna che si percorre in salita, merita essere esplorato e percorso da quanti amano luoghi particolari, incontaminati e selvaggi. Raggiunto il colle della Gianna l’occhio s’apre d’improvviso sul Monviso e sui monti circostanti che gli fanno da corona: una vista ineguagliabile, nebbie permettendo, assai diffuse su questi pendii.

29 Immagine(i), Inserita il 20/07/2011

Un anello dal rifugio Selleries per le cime Rocciavrè e Robinet



Un anello dal rifugio Selleries per le cime Rocciavrè e Robinet

Località di partenza: Rifugio Selleries mt. 2035
Dislivello complessivo: mt. 785
Tempo di salita: 4 ore c.ca
Tempo di discesa: 2 ore e 30 minuti c.ca
Difficoltà: E
Riferimenti: Carta dei sentieri e stradale 1:25.000 n° 3 Val Susa – Val Cenischia – Rocciamelone – Val Chisone Fraternali Editore

Sulla bifida vetta del monte Rocciavrè e alla cappella della Madonna degli Angeli sulla vetta del monte Robinet normalmente si sale dalla val Sangone transitando per il vallone della Balma. L’itinerario proposto, invece, contempla la salita alle due vette dalla val Chisone partendo dal rifugio Selleries, con la possibilità di effettuare un piccolo anello finale, percorrendo così due sentieri paralleli, ma sfalsati di quota, attraversando ambienti profondamente diversi. L’escursione si svolge all’interno del parco naturale Orsiera Rocciavrè avendo come prospettiva le cime più significative della zona in un ambiente sempre diverso e mutevole. Un sincero grazie a tutti coloro che si adoperano perché la montagna viva e tutti ne possano liberamente usufruire, persone che si prodigano con interventi silenziosi, ma efficaci come il ripristino e la manutenzione di strutture quali sentieri, segnavia, fontane e luoghi di accoglienza.

30 Immagine(i), Inserita il 16/07/2011

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