La tragedia del Beth

Data 06/08/2011 | Categoria: C'era una volta

La tragedia del Beth

Più di cento anni fa, martedì 19 aprile 1904, avvenne la prima grande tragedia sul lavoro dall’Italia Unita. Una grande valanga portò distruzione e morte nel vallone del Beth in val Troncea uccidendo 81 minatori e ponendo fine ad un’esperienza di vita e lavoro che tra la seconda metà dell’800 ed il primo decennio del 900 aveva connotato questa valle.
Ad una economia basata quasi esclusivamente sulla produzione agricola locale, si era infatti inserita in modo improvviso un’esperienza industriale che trova la sua origine e motivazione nel clima di assoluta e cieca fiducia nell’evoluzione e nelle scoperte della tecnica che caratterizzava la società europea di quel periodo. L’interesse crescente era per il filone di calcopirite presente al colle del Beth, sullo spartiacque tra la val Germanasca e la Val Troncea. Da questo minerale, infatti, si ricavava rame nella percentuale del 3,5% e zolfo nella misura del 50% c.ca.
Il minerale estratto veniva portato alla stazione di monte e da qui i carrelli venivano calati, agganciati ad una fune di discesa, alla grossa stazione d’angolo posta a 2435 mt. i cui imponenti ruderi sono tuttora presenti al centro del vallone del Beth. Di qui il materiale proseguiva sino alla Fonderia La Tuccia posta a fondovalle.
Prima di raccontare della tragedia merita fare alcune considerazioni in merito alla vita dei minatori che lavoravano al Beth. Il lavoro era massacrante, con turni di 12 ore: lo scavo e l’estrazione avvenivano con mazze, picconi e dinamite per una modesta paga settimanale. Si lavorava tutto l’anno, anche d’inverno; i ricoveri erano freddi e umidi, i letti erano giacigli di paglia che veniva sostituita una volta l’anno. L’acqua si ricavava facendo sciogliere la neve e il cibo veniva cucinato a turno sull’unica stufa disponibile. Nevicate e valanghe interrompevano spesso i collegamenti bloccando per lunghi periodi i minatori come quando nel 1900 quaranta minatori rimasero bloccati tutto l’inverno al Beth.
Proprio per il timore di rimanere bloccati a causa delle abbondanti nevicate cadute i giorni 17 e 18 aprile, i minatori decisero il 19 di tentare la discesa a valle. Verso le 12.30 all’improvviso il dramma. Un colpo di tuono, fortissimo, si fece udire e prima ancora che i minatori si fossero riavuti e pensato alla difesa, essi vennero come fuscelli trasportati nel vallone da una massa enorme di neve che pareva una montagna. Dalle testimonianze dei sopravvissuti pare che l’enorme valanga si sia staccata dal versante settentrionale del Ghinivert e che a causarla possa essere stato il fragore di un tuono. Ai primi soccorritori lo spettacolo che si presentò ai loro occhi era terribile: tra il bianco della neve spiccavano grosse macchie di sangue, arti spezzati, oggetti da lavoro, travi ed assi.
La ricerca ed il recupero delle vittime si protrasse per più di due mesi: solo il 28 giugno fu rinvenuto il corpo di Alessio Faure, un minatore perito a causa di una slavina in realtà caduta precedentemente. La conta finale dei corpi recuperati sarà in fatti di 82. Solo allora fu chiusa la fossa comune, al cimitero di Laval all’inizio della val Troncea, in cui giacciono corpi di 74 delle 82 vittime in gran parte originarie della val Chisone e Germanasca. Una colonna tronca, recentemente restaurata, ricorda l’evento. Questa grande tragedia ebbe ampia risonanza sulla stampa nazionale, ed in molti comuni, anche molto lontani, si effettuarono sottoscrizioni e furono stanziate somme per venire incontro alla famiglie dei minatori periti sotto la valanga.
A ricordo dei minatori che hanno perso la vita è stato realizzato un monumento che si trova all'inizio della Val Troncea poco prima del ponte sul Chisone. Su una grande pergamena di rame, minerale che si estraeva al Beth, una commovente iscrizione ricorda l'immane tragedia. Se passi di lì fermati un attimo e leggila.
Per chi volesse approfondire l’argomento si segnala il volume di: Avondo – Castellino – Rosselli “Pragelato. Il Beth e le sue miniere ad un secolo dalla grande valanga”. Alzani Editore

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