Monviso ..."Immersi nella Nebbia!" 10/09/2009

Data 16/09/2009 | Categoria: Alpinismo

VENERDI Ore 10; entro in ufficio e i colleghi di lavoro senza salutarmi mi dicono “Ti è andata bene! Ma come si fa a perdersi sul Monviso?” (qualcuno con fare ironico)
Già. Come si fa!
(Eccola, ma non LE avevo detto di NON dire nulla?)

GIOVEDI ore 21,15 al Rifugio Quintino Sella; “Pronto Mary, siamo appena arrivati al rifugio Sella, CI SIAMO QUASI PERSI al rientro dalla vetta, dormiamo qui, ci vediamo domani” (ho fatto un succinto, come potrete ben immaginare)
“Senti Roberto, domani mattina devo telefonare in ufficio e dire che arrivi più tardi?”
“NO, ci penso io quando arrivo”.

MARTEDI in giornata mi telefona mia cognata dicendomi che il giorno successivo arriverà suo fratello a trovarla.
Antonio è un’abruzzese doc, vive a Camarda, un paesino di montagna di qualche centinaio d’anime a pochi chilometri da Assergi, sotto il Gran Sasso d’Italia.
Come quasi tutti gli abruzzesi è un’amante della montagna, in tutti i suoi aspetti. Ormai ci conosciamo da più di vent’anni e le gite che abbiamo fatto insieme non si contano. Quelle che mi sono rimaste più impresse sono quelle fatte dalle sue parti, arrampicate sul Corno Grande, sul Corno Piccolo, ferrate e lunghe cavalcate sulle creste rocciose dei “Pizzi”. Da quelle parti le cime, le vette, vengono chiamate così. L’ultima volta che ci siamo visti è stato lo scorso mese di maggio, quando venne a Torino a visitare i genitori e un’altra sorella con due figlioletti sfollati dal paese colpito dal terremoto. Lui, come tanti altri uomini, era rimasto in paese per “Ricominciare”.
In quella occasione non era nello stato d’animo d’andare in montagna, oltre tutto era stravolto dalla tensione e dalla stanchezza.
Poi i giorni trascorrono velocemente, anzi, i mesi, così piano piano ha ripreso l’attività in montagna e ora è arrivata l’occasione di fare un’altra gita, questa volta in Piemonte.

MERCOLEDI in ufficio faccio presente che il giorno dopo prenderò un giorno di permesso per motivi famigliari, poi in serata passo a trovare Antonio per decidere che tipo di escursione vorrebbe fare.
Gli faccio una proposta;”Potremmo fare un 4000 facile, il Gran Paradiso, oppure, se preferisci, fare un’arrampicata nel gruppo del Viso? O preferisci fare una camminata? Dimmi tu cosa vorresti fare”.
“Salire sul Monviso. L’ultima volta che sono venuto SU si vedeva dall’autostrada, pensa che sarò venuto a Torino almeno cinquanta volte ed è stata la prima volta che si vedeva così bene. Si, il Monviso. Cosa dici?”
“Il Monviso? Ma farlo in giornata è un gran mazzo”.
“Senti Antonio, è già tardi, per fare il Monviso in giornata bisogna partire prestissimo. Facciamo così, domani andiamo al pian del Re, vediamo com’è il tempo e poi decideremo dove andare”

GIOVEDI mattina alle 7,15 chiudo il baule della macchina e ci mettiamo in cammino. Gli faccio presente che è già tardi e gli indico la Punta Roma. Potremmo andare sul “Pizzo Roma”, poi scendere ed eventualmente andare al rifugio Giacoletti a mangiare. In cuor mio spero vivamente che gli vada bene questa proposta, anche perché ho promesso allo “Skipper” che prima della chiusura del Sella saremmo andati insieme “A fare il Viso”. Se venisse a sapere che sono andato senza di lui si in….. come una iena.
Ma Antonio, dopo aver visto il Viso così da vicino si carica ancora di più, mi sprona a camminare ancora più in fretta, accelera sempre di più:” Ma è matto!”

Ormai è deciso, il Monviso è la nostra (forse) meta.

Con un passo sostenuti risaliamo la comoda mulattiera, ogni tanto con la scusa delle foto riprendo fiato, gli dico che così di corsa non arriverò da nessuna parte, scoppierò prima.
Dopo tre ore mi ritrovo al passo delle Sagnette, stravolto, ci fermiamo e facciamo il punto della situazione. Il tempo è ancora sereno, se riuscissimo a tenere un buon passo dovremmo riuscire a salire in punta e a scendere alla macchina prima che faccia buio. Ho il frontalino, al massimo lo potremmo usare nell’ultimo pezzo prima d’arrivare alla macchina.

Con un’andatura più umana percorriamo le ripide tracce che ci portano al grande ometto del Ghiacciaio del Viso, poi proseguiamo senza fermarci fino al Bivacco Andreotti. Qui facciamo la classica sosta di riposo, mangiamo una barretta e riprendiamo il cammino. Da questo punto inizia la parte alpinistica della salita, lasciamo i bastoncini ed iniziamo ad arrampicarci. Poco sopra iniziamo ad incontrare quelli che stanno scendendo. La poca nebbia che c’era prima si sta intensificando, chiediamo com’è la situazione in alto e tutti quanti ci dicono che il tempo è bello.

Incontriamo due guide che con i clienti hanno fatto la Est, un folto gruppo di francesi, un solitario che arriva da Praga e per ultimo tre genovesi che sono partiti alle due da Castello. Ci dicono che sono gli ultimi, dietro di loro non c’è più nessuno.

Siamo rimasti solamente noi due, è una bella sensazione, inoltre sapere che da sopra non dovrebbero cadere dei sassi è rassicurante. Salendo su roccette, camminando su cenge detritiche, arrampicando su pezzi più impegnativi arriviamo alla congiunzione con la cresta est. Ormai siamo quasi in vetta. La stanchezza si fa sentire ma la voglia d’arrivare un’altra volta in punta è tanta.

Poi, all’improvviso intravediamo la croce e dopo quasi sette ore siamo sul “Pizzo Monviso”.

Ci sediamo un po’ in cerca di riposo, mangiamo un’altra barretta, facciamo le classiche fotografie. Il tempo sembra sereno, l’unica cosa che non và è la solita nebbia. Non copre completamente la visuale, ma non si sa mai.
“E’ meglio che iniziamo a scendere”

Seguendo le tacche gialle ripercorriamo il tragitto fatto in salita e aggirando grossi torrioni, scendendo a volte con la faccia a monte i tratti più ripidi arriviamo al bivacco.

Fin qui sta andando tutto per il meglio, abbiamo ancora parecchie ore di luce a disposizione, penso già alla birra che potremmo farci al Sella prima di scendere alla macchina.

Dopo pochi minuti di sosta ripartiamo, la nebbia si è infittita e sembra stagnare proprio qui sopra di noi. Ogni tanto si intravedono le varie cime che ci circondano, però………

Scendiamo fiduciosi seguendo i segni gialli che da un momento all’altro dovrebbero spostarsi verso sinistra. Quello che non mi piace è non vedere il pendio che ci dovrebbe portare al passo delle Sagnette.
Ho la sensazione che stiamo scendendo troppo. Ci fermiamo un attimo cercando i segni alla nostra sinistra ma senza successo. Faccio presente ad Antonio che forse dovremmo attraversare la pietraia verso sinistra fino ad incontrare la traccia che porta al passo. Poi all’improvviso, tutti e due ci viene in mente che non abbiamo visto il grosso ometto. Forse lo abbiamo aggirato tutto sulla destra? Oppure……Facciamo sosta sperando che la nebbia si diradi, ma senza successo.
Bisogna prendere una decisione!
Andare tutto a sinistra; e se siamo già scesi troppo? Oppure seguire le tacche gialle finchè nei pressi dei laghetti trovare un’altra traccia che punti verso qualche colle che ci permetta d’andare in Val Po.

Scegliamo la seconda soluzione, continuiamo la discesa.
Poco dopo c’è una schiarita e intravediamo i laghetti, sono proprio alla nostra destra. Si, abbiamo la conferma che siamo fuori via.

Ora si tratta di trovare una traccia che salga in alto sperando che ci porti in un punto dove si possa scendere sull’altro versante. La nebbia si dirada sempre di più e riusciamo a vedere in lontananza dei segni gialli che dovrebbero portarci dalla parte giusta.

Risalendo prima un pendio ancora innevato, poi su facili roccette raggiungiamo un colle. Antonio mi chiede se conosco il posto dove siamo. Più o meno so che da queste parti ci sono le punte Dante, Michelis, forse le Rocce Meano. Sicuramente so che dobbiamo scendere fino ad incontrare la mulattiera che và verso il rifugio.

Dal colle, proprio davanti a noi c’è una montagna invalicabile. Laggiù alla sua destra vediamo la mulattiera che l’aggira; ci vien male solo al pensiero di scendere fino laggiù. Ma non c’è via d’uscita. Iniziamo ad abbassarci seguendo dei segni gialli che ci portano ad un colletto dove c’è una scritta gialla indicante la quota,3040.
Poi seguendo delle tracce gialle e poi con l’aiuto di qualche ometto discendiamo su sfasciumi un canale che ci porta alla mulattiera.
Finalmente! C’è anche un bel cartello che ci indica che da una parte si và a Castello e dall’altra al “Rifugio Quintino Sella Ore 1,30”. A questo punto le gambe vanno da sole e dopo un’ora circa, alle 21, dopo quattordici ore possiamo dire che “per oggi basta così”.

VENERDI alle 5,30, dopo che tutti sono andati via dal rifugio ci alziamo e fatta una ricca colazione ci mettiamo in cammino. Rapida discesa, lungo rientro in macchina, un rapido passaggio a casa per la doccia e poi in ufficio e ……..

“Adesso vi spiego come abbiamo fatto a perdersi sul Monviso”


PS; adesso, comodamente seduto alla scrivania, con l’aiuto della guida dei Monti d’Italia del CAI posso dare i nomi dei luoghi dove siamo passati.

Dalle pietraie dei laghi delle Forciolline siamo saliti al Colletto Dante, poi siamo passati dal Passo Fiorio-Ratti, la scritta 3040 dovrebbe indicare la Cima di Costarossa, Infine siamo scesi alla mulattiera nei pressi del Passo di S.Chiaffredo e da lì con la comoda mulattiera al Rifugio Sella
La montagna invalicabile che ci è apparsa dal colletto Dante è la Punta Trento.

PPS; Non dite “Ben vi sta” dovevate alzarvi prima. “LO SO GIA’”

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