Argentera, anello cima Nord e Sud via Lourousa,27/6/06

Data 29/06/2006 | Categoria: Escursionismo

Ieri ho finito l’ultimo libro di Baricco “Questa storia”, bellissimo, come tutti gli altri, a cominciare da “Seta”. L’ho finito dopo mezzanotte e lo stile della storia che segue qui sotto, inevitabilmente, risentirà dell’ineguagliabile musicale talento narrativo del mio scrittore.
Soltanto qualche nota più basso e qualche stecca.
Lo racconto in terza persona per prendere una certa distanza da me stesso, che qui si chiamerà “lui”.

Se non avete molto tempo da perdere, andate giù fino alla linea orizzontale.

QUEST’ ALTRA STORIA

-Il sole dormiva alla grande, quella mattina, quando la sveglia suonò.
Erano le quattro. Aveva suonato alle quattro perché l’aveva programmata lui, a mezzanotte passata, appunto per le quattro.
Se non l’avesse programmata per le quattro lei non avrebbe suonato. E lui forse non si sarebbe svegliato. Ma tant’è, suonò, e, come vi ho detto, si svegliò.
Si chiese se fosse una cosa intelligente, da parte sua, per un giorno che non doveva andare al lavoro, alzarsi a quell’ora e farsi un mazzo così.
La risposta, immediata, del circuito delle sue sinapsi, fece sì che si riaddormentò immediatamente.
-Il sole dormiva ancora alla grande quando la sveglia risuonò.
Erano le quattro e trenta. Aveva suonato a quell’ora, ma non chiedetemi il perché. Le sveglie a volte suonano quando meno te l’aspetti. Se non avessero questa strana caratteristica non avrebbe suonato. E lui non si sarebbe svegliato, forse. Ma tant’è, si svegliò.
Allora smise di porsi delle domande esistenziali che, lui sa bene, lo fanno riaddormentare immediatamente
-E si alzò.
Alle sei e trenta era già sceso dalla sua auto in una piazzola nei pressi delle Terme di Valdieri, un agglomerato di costruzioni, in una gola sperduta tra i monti del basso Piemonte che nasconde i fasti di passate ed effimere glorie di corti regali e di cortigiani inchini e di carrozze dorate.
Ora questo luogo è diventato mèta di frettolosi ciclisti che arrivano qui alle undici, guardano l’orologio soddisfatti, indossano il k-way e fanno subito dietrofront per essere in pianura per l’ora di pranzo, sennò la moglie gli fa un culo così.
Arrivano anche le auto, una dopo l’altra, alle 10, lamentandosi dei ciclisti che stanno in mezzo alla strada, e ne scendono signore di una certa età, che vanno nella piscina calda con la mutua e si lamentano che è troppo calda. Poi escono dall’acqua e si lamentano che fa freddo.
Un poco più su, salendo a sinistra su ripidi e sconnessi sentieri per due ore almeno, si arriva in vista di uno dei ghiacciai tra i più meridionali del Piemonte, il mitico Lourousa, ripidamente appoggiato nel canalone Nord del maestoso massiccio dell’Argentera, coi suoi 3300metri di altezza, se solo, sulla cima Sud, avete il coraggio di fare un bel salto ed alzare una mano.
Ma a quest’ora, alle sei e trenta, arrivano solo quelli che hanno la sveglia che suona quando vuole lei, e loro partono per i monti qualunque sia l’ora che la sveglia ha deciso. Così arrivò lui e s’incamminò pian piano, ma non troppo piano, sù per il sentiero ripido e sconnesso che s’ innalza verso il Canalone di Lourousa, col suo ghiacciaio che sta morendo piano piano, ma non troppo piano, purtroppo.
Quando fu al Lagarot un’altra sveglia suonò, duecento metri più sù, dentro il bivacco rosso che spicca alla base del ghiacciaio, il tetto lambito dal primo raggio di sole, una calda carezza del cielo alla sua dignitosa solitudine.
Il sole era quindi già alto e sveglio sui monti quando la sveglia nel bivacco suonò.
Erano le otto. Aveva suonato alle otto, perché una delle quattro bellissime ragazze che dormivano là dentro l’aveva programmata per quell’ora, a notte già fonda, dopo che si era scolata, cantando una canzone vecchia di secoli, una bottiglia di vino dentro una bottiglia di plastica da un litro e mezzo, naturalmente dividendola con le altre tre e dopo che si erano raccontate le loro oramai lontane prime esperienze d’amore, visto che avevano, tutte insieme, un’età indefinita tra i 76 e gli 80 anni.
Se non l’avesse programmata per le quattro la sveglia non avrebbe suonato. E loro forse non si sarebbero svegliate. Ma tant’è, suonò, e, come vi ho detto, si svegliarono. Ma non tutte e quattro, come potreste pensare. E’ dimostrato statisticamente che, su quattro bellissime ragazze, una non si sveglia mai al suono della sveglia, manco se sparano un colpo di cannone. E così la quarta rimase statisticamente addormentata. Si svegliarono quindi in tre.
Si chiesero se fosse una cosa intelligente, da parte loro, per un giorno che avrebbero potuto dormire finché volevano, alzarsi a quell’ora e farsi un mazzo così.
La risposta, immediata, del circuito delle loro sinapsi, fece sì che si riaddormentarono tutte e tre insieme, immediatamente.
-Il sole era ancora più alto nel cielo quando la sveglia risuonò.
Erano le otto e trenta. Aveva suonato a quell’ora, ma non chiedetemi il perché. Le sveglie a volte suonano quando meno te l’aspetti. Se non avessero questa strana caratteristica non avrebbe suonato. E loro non si sarebbero svegliate, forse. Ma tant’è, si svegliarono ancora in tre, le solite tre..
Allora smisero di porsi delle domande esistenziali che, loro sanno bene, le fanno riaddormentare immediatamente
-E si alzarono. E subito iniziarono a lanciare i cuscini addosso alla bella addormentata nel bivacco.
Che, dopo alcuni minuti, si svegliò dolcemente anche lei, chiedendo che ora fosse, che aveva ancora sonno.
-Erano le otto e trenta, ma questo l’ho già detto. Ho avuto dei problemi da piccolo, che nessuno mi ascoltava mai. Allora a volte mi capita di ripetere una cosa più di una volta. Ma la gente mi capisce, e finge di non averla mai sentita prima. Non tutta: qualcuna me lo fa notare, ma io la capisco, la gente. E fingo di non aver udito. Ma poi, per un po’, non mi ripeto, anzi, sono supersintetico.
-Erano le otto e trenta, quando Genoveffa uscì in pigiama dal bivacco, si stirò, sbadigliò, fece un giro su se stessa guardando stupita il sole che accarezza le cime, coi capelli sciolti che ondeggiavano lievi nel dolce vento dell’estate, e si bloccò di colpo mentre volgeva lo sguardo verso valle. Aveva visto Lui. Lui stava salendo, non più di 50 metri sotto, tra le instabili rocce che il ghiacciaio aveva trascinato giù e poi aveva nascosto per millenni, ma che negli ultimi anni si scoprivano già al primo sole di primavera.
-Genoveffa si rifiondò dentro e gridò sottovoce ad Ermenegilda, Clotilde e a Francesca, (che le altre tre prendevano sempre in giro per il suo strano nome), che stava arrivando un figo da paura.
-Fu forse per questo che quando timidamente uscirono tutte e quattro sulla soglia e videro lui a quattro metri dal bivacco, muto ed incredulo, gli dissero in coro:
Buongiorno!!!
Non fu facile per lui farsi dare del tu: sbagliavano continuamente! Entrò nel bivacco guardingo, per verificare di persona che non c’era nessun altro, come gli avevano appena detto, con la scusa di prendere il diario.
Prese il diario, che lui stesso aveva portato sù, immacolato, durante quel freddo e duro inverno, quando era venuto qui per ben tre volte in una settimana per risalire il canalone di Lourousa ed al secondo tentativo ce l’aveva fatta, con la sua tavola, nella polvere e nel sole.
Eh, sì, perché lui è un solitario e scorbutico frequentatore dei monti in tutte le stagioni, ma nessuno lo doveva sapere, tantomeno le quattro stupende ragazze che erano lassù. E non glielo disse e loro non lo seppero, né lo sapranno mai. Nemmeno il suo nome.
-Infatti scrisse due righe sul diario e si firmò. E poi, con noncuranza, andò a leggere, non certo per narcisismo, se qualcuno avesse scritto qualcosa di lui, e qualcosa lo trovò, anche se non era proprio tutto come lui avrebbe voluto, ma, si sa, ognuno scrive ciò che vuole. Non lesse neppure tutto il diario, per non dare nell’occhio, né far trasparire alcunché di non ortodosso.
-Le quattro solitarie, quando lui disse che era la prima volta che veniva lì, dissero che loro era la prima volta che andavano in montagna. Ma lui capì che loro erano ancora più modeste di lui, e non ci credette. Chiese loro se sarebbero salite sù al colletto Coolidge e quando gli risposero che sarebbero salite al colle del Chiapous, si offrì di accompagnarle. Ma le quattro non insistettero troppo per avere la sua compagnia, e di questo lui fu molto grato.
-Poiché il vino era finito, gli offrirono una strepitosa bevanda che accettò volentieri, ma troppo tardi capì che si trattava di una bevanda afrodisiaca.
Infatti gli venne immediatamente un’irrefrenabile, impellente ed indiscutibile voglia di farsi subito, quattro volte di fila, una dopo l’altra, senza fermarsi, su e giù, su e giù, su e giù, su e giù, il canalone di Lourousa. Partì di corsa, tra i massi caduti da lassù, chiedendo loro i nomi e ringraziandole della loro gentile ospitalità, verso il conoide basale che ansioso attendeva questa furia delle pianure, ripetendosi ad ogni passo i loro nomi, peraltro facili, per non scordarli mai più, nella sua e nella loro corsa verso l’infinito. Ma era tutto superfluo, perché aveva una memoria da elefante e non dimenticava mai nulla, né cose, né nomi, né persone.
-Ma quando fu al conoide basale del ghiacciaio si dimenticò che avrebbe voluto farlo 4 volte, si scordò i 4 nomi delle ragazze, ebbe anzi dei dubbi che gliel’avesse mai chiesto e qualche lieve dubbio di averle veramente incontrate. E si depresse un po’, mentre calzava scarponi e ramponi, e, come gli succedeva spesso quand’era depresso, gli andò via anche la voglia di parlare. E soprattutto di ripetersi.
-Così mi raccontò sinteticamente la continuazione di “Quest’altra storia”, che non mi permetterò di falsare e d’infiocchettare.
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Prima parte del canale neve ancora abbastanza dura, a vaschette; le tracce di precedenti salite sono cancellate e si deve rifare la traccia. Arrivato agli isolotti, da dove scende , invece della neve di 3 mesi fa’,scende una cascatella d’acqua, che preannuncia inevitabili fusioni in corso.
Un improvviso boato, un tonfo ed un sibilo, seguito da altri tonfi ed altri sibili mi fanno immaginare dei blocchi di pietra grandi come lavatrici che rotolano e volano giù dal Corno Stella, poi tutto tace.
Due minuti dopo, un replay, ma non è un’eco, la cosa si ripete, ma anche questa volta non vedo nulla, però, dall’intensità del rumore mi sembra non molto lontano. E io sono sotto.
Uno sguardo agli isolotti; manca ancora una mezz’ora per superarli, ma sono belli asciutti e c’è un passaggio più facile di non più di 6 metri d’altezza. Ci passo senza togliere i ramponi ed aiutandomi a tratti con la picca: sono sul canale superiore cieco: la neve è molto più molle e a volte si sprofonda un po’, è meglio stare nella grossa rigola in centro. Qui è più difficile essere centrato da una lavatrice volante.
Sento delle voci e penso che sto andando troppo piano, ora qualcuno mi sorpasserà di corsa. Invece mi guardo intorno e scopro che le voci arrivano dalla punta aguzza di Corno Stella. Dò una voce e ci salutiamo: sono in due. Saranno loro che buttano giù le lavatrici? Boh!
Una pietra piatta grossa come un piatto sta rotolando e rimbalzando nel canale sopra di me con traiettoria incerta, mi sposto di qua, poi di là, e lei riesce a centrare in pieno il mio bastoncino, proprio davanti a me. Bel colpo!
Raggiungo la fine degli isolotti, vado ancora su 10 minuti, poi si sprofonda un po’ troppo: tolgo i ramponi e decido di passare sulle rocce a sinistra salendo; ad occhio non mi sembrano difficili, in effetti poi il tratto è ancora lunghetto e ci s’imbatte in tratti lisci e senza appigli, meglio scendere un po’, aggirare, fare qualche passaggio difficilotto (almeno per me, che “rampignupocmabeivubastansa”), ma, con qualche brivido, arrivo in cima al canalone, al colletto Coolidge. E anche questa è andata. L’ho presa con calma: sono le 12!! Ma fa bellissimo e non ho fretta. Da lassù vedo la parete ovest del Corno Stella e col binocolo trovo i due impavidi scalatori: sono bell’ e che in fondo. Bene. A desso speriamo che non salgano sù sulla Nord prima di me.
Butto un occhio al di là, sopra l’invaso del Chiotas, verso la Nord, dove dovrò salire, a stima, perché non l’ho mai fatta, di tacche neanche parlarne, ma la via è abbastanza evidente, si scende un po’, una cinquantina di metri, si risale altrettanto per facili passaggi e poi si prende una frattura obliqua che passa accanto al colletto da cui si vede il Corno Stella da un’altra prospettiva e laggiù il rifugio Bozano, poi continua con un tranquillo traverso ascendente tra macchie di fiori, di muschi e licheni mai visti; quando termina si può scegliere se fare un traverso all’indietro, oppure una facile arrampicata, che ambedue portano in cresta: non tornate troppo indietro sulla cresta, altrimenti dovrete scendere di nuovo un po’e risalire qualche salto. Quindi, con 100metri di facile cresta raggiungete la croce della Nord (3286m).
Da lì, guardando verso la Sud, andate un po’ a destra e iniziate a scendere per labili tracce, stando sempre una ventina di metri sotto l’affilata cresta: la discesa al colletto è già abbastanza impegnativa con la pietra asciutta che ho trovato io: non vorrei mai trovarmici con la pioggia o peggio col ghiaccio, magari da solo!
Dal colletto si scollina al di là e si scende un po’, sempre per tracce esposte, quindi si piglia un’altra cengetta obliqua risalente, simile a quella della Nord, solo molto più esposta.
Dietro di me 4 camosci hanno scollinato 2 minuti dopo di me e pare vogliano seguirmi. Mi fermo ad osservarli: l’apripista va avanti un pezzo in passaggi arditi e poi aspetta gli altri, va un altro pezzo e fa partire delle belle pietrazze che scendono verso il Chiotas facendo un gran casino. Allora si fermano tutti e 4 e stanno lì immobili a guardare giù verso il rumore, finché io non mi stufo e continuo sulla stretta cengia finché ci si infila in uno stretto e ripido canalino ( in cui ho trovato ancora un po’ di neve e ghiaccio) che con una diecina di metri si congiunge con la via di salita dal passo dei detriti: la vetta sta lì, 20 metri a destra, 3297m: fate un salto, alzate la mano, o il pugno, e siete arrivati a 3300m.
Poi non vi resta che ritornare, passando naturalmente dalla cengia, passo dei detriti, da cui potete scendere di corsa appoggiando i talloni degli scarponi e lasciandovi scivolare giù, senza però sedervi. Alla fine c’è un bel canalone di massi più grandi di voi da attraversare seguendo le tacche rosse, ma se le perdete non preoccupatevi, forse avete trovato una via migliore per il Rifugio Remondino, dove finalmente c’è dell’acqua.
Ma la strada per le terme è ancora infinita! Se come me arriverete al Pian della Casa alle 19, dimenticatevi di trovare un passaggio in auto: non c’è nessuno che scende a quell’ora, specialmente se siete morti e paghereste qualsiasi cifra per farvi portare anche su un carro funebre.
Ma voi direte che tantissimi vi hanno offerto un passaggio, ma voi avete gentilmente rifiutato. Perché un giro è un giro, se non si fa tutto che giro è?
Ma, come me, passate accanto alle auto parcheggiate lassù e guardate dentro se qualche sbadato vi ha dimenticato le chiavi. Toccate anche sopra le ruote, specialmente la posteriore sinistra, perché qualche astuto le mette lì, per paura di perderle in montagna, come l’altra volta.
Se trovate le chiavi, pigliate l’auto e andate fino alle terme parcheggiatela bene e mettete un bel biglietto sul cruscotto con su scritto: GRAZIE! E non dimenticate di rimettere le chiavi dove le avete trovate. Perché siete dei gentiluomini.
Io, purtroppo, di chiavi non ne ho trovata una, ahimé!
Solo una mountain bike che saliva su, con sopra una bella ragazza con cui avevo fatto qualche giro molto tempo fa. Ma non me l’ha data, neanche questa volta. La bici.

Partenza: Terme di Valdieri (1350m)
Colletto Coolidge 3220m
Cima Nord 3286
Colletto Nord Sud 3150
Cima Sud 3297
Passo dei Detriti 3122
Dislivello positivo 2300m
Tempo indicativo 12 ore
Difficoltà: AD+/D passaggi max III/IV-

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