Come eravamo...

Data 11/11/2008 | Categoria: Come eravamo

A gentile richiesta, partecipo al remember… ”come eravamo. Le prime volte in montagna”. La cosa, sinceramente non mi entusiasma molto. Sarà perché questi discorsi, caro Enzo, li fanno sempre gli … anta e, mai e poi mai, gli …enti ma, siccome sono socio onorario del club “giovani dentro” il problema non mi tange pertanto accolgo il tuo invito e mi sforzo a ricordare. Potrei parlare della mia infanzia in quel di Balme dove, con la mia mitica nonna ho vissuto fino all’età prescolastica. Passeggiate nei boschi e a tre anni “la scalata” fino al rifugio Gastaldi, confesso che il ritorno è avvenuto sulle spalle del mio papà, non molto contento per la fatica; dovete sapere che la parte montanara della mia famiglia è la mamma con tanto di cognome doc alpinisticamente parlando: Castagneri. Invece il buon vecchio Sirotto venendo dal Monferrato e da una famiglia contadina concepiva il riposo domenicale, diciamo in una maniera più enogastronomica. Potrei continuare a raccontarti la mia crescita alpinistica escursionistica sci alpinistica ma, preferisco parlarti delle prime gite con gli sci insieme al ragazzo Federico, persona a te cara. Devi sapere che dalla val di Lanzo la mia famiglia era passata in val di Susa e precisamente a Bardonecchia anzi al Melezet. Stufo di fare code agli impianti e incuriosito dalle pelli di foca, con gli amici Paolo e Giorgio mi buttai sullo sci alpinismo. Comprai un paio di rossignol choucas con attacchi zermat flli molino e i primi scarponi di plastica san marco con la ghettina incorporata. Tecnica zero, prima uscita La Melmise. Tre passi avanti due indietro usavamo la famosa tecnica-canguro, in discesa un pochino meglio visti i nostri trascorsi pistaroli. Ma la cosa ci piaceva, e la domenica dopo Thabor…che faticaccia…stiamo parlando dei primi annisettanta. Vicino a casa mia abitava una famiglia molto appassionata di montagna, quella di Carlo Leone un ragazzetto di 12 anni che “giterellava“ con i suoi amici con il mitico Luciano quello per capirci che chiamava tutti “cosetto o cosetta” un istituzione per le famiglie che trascorrevano le loro vacanze estive a Bardo. Il miglior amico di Carlo era Federico Negri, sempre insieme sognavano l’alpinismo serio e ogni volta che ci incontravamo parlavamo di cime e gite. Mi piacevano quei due poi, diciamo la verità, mi piaceva quel loro vedermi “più grande” e dall’alto dei miei 21 anni mi sentivo un navigato alpinista e mi fermavo volentieri a chiacchierare con loro. Inoltre i genitori di Carlo si fidavano di me (e facevano molto male) e, quando promisi al loro figliolo di provare l’andare con le pelli accettarono contenti. Quell’inverno la Valle Stretta fu battuta in lungo e in largo. I 2 ragazzi avevano tirato su un po di attrezzatura e con scarponi da pista le varie Guglie, Rossa, di Mezzodi’ e tutte le altre cime che fanno da corona a Bardonecchia furono da noi sciate. Caratterialmente mi sentivo legato di più con Federico. Mi piaceva quel suo modo di essere fuori dalle regole, bastian contrario, polemico il giusto e soppratutto difensore coerente delle proprie idee. Da buon sessanottotino apprezzavo il suo non essere ruffiano e ricordo con piacere i baruffoni che faceva con suo padre megagalattico dirigente d’azienda che non accettava le idee del figlio e tantomeno chi frequentava; sinceramente adesso a 55 anni posso capirlo perché pensando a come mi presentavo forse le sue perplessità non erano del tutto infondate. Ma in quegli anni ribellarsi, contestare e stupire erano il passatempo preferito quindi chissenefrega e…alla cumbre siempre! Ormai i 2 ragazzini erano pronti e allora con Paolo, Giorgio ed Alberto ci si spostava dalla Vanoise al Delfinato contando un sacco di balle ai genitori convinti che i loro figlioli sciassero tranquillamente in Val della Rho o al Col des Acles. Si intuiva che il Negri amava il ripido ma ogni volta che proponeva una variante lo stoppavamo con…”stai calmo ragazzo devi ancora mangiarne di fioca anzi sarebbe meglio che cominciassi anche con la f…a perché tutti quei brufoli che hai non sono solo per la cioccolata che mangi”. E poi, che dire della sbadataggine di Fede, non c’era una volta che o, i ramponi, le pelli, il mangiare, il thermos o gli scarponi li dimenticava ma, duro e testardo saliva anche senza qualche attrezzo mai lamentandosi anzi scherzandoci sù. Ogni tanto su pendii ben ripidi e ghiacciati rumando nel suo zaino alla ricerca di qualcosa partiva qualcos’altro giù per 200 300 metri e lui, imperturbabile scendeva a recuperare e ci a raggiungeva senza un lamento incassando gli sfottò con il suo sorriso innocente e sornione che molti di voi ben conoscono. Gli anni passavano e le gite diventavano sempre più toste. Io continuavo a bere vino e lui cappuccini a gogò. Poi i primi anni 80 mi sono trasferito in un’altra valle la Valpolicella e per un po’ ci siamo persi di vista. Ogni tanto qualche telefonata, la nascita di mia figlia Federica (sarà una coincidenza) il suo matrimonio, la nascita del suo primo figlio concepito a casa mia durante le feste di capodanno passate da me (sarà una coincidenza), la venuta al mondo dei suoi fantastici gemellini uno chiamato come mio figlio Christian (sarà una coincidenza). Lui a scivolare sempre di più sul ripido ripido ed io a vagabondare con gli sci in giro per il globo in puro spirito kerouacchiano ma sempre uniti da un affetto profondo. Negli ultimi anni ci siamo visti di più; qualche sciata in Val di Gesso (come attrezzatura e abbigliamento non è cambiato), ho conosciuto grazie a lui Enzo il suo compagno di merende-pendenti e il mitico Enrico della fiocavenmola (Fede, Fede purtroppo i consigli di 30 anni fa sul teorema della fioca vedo non sono stati assimilati ) mi ha invitato al Palamonti di Bergamo per la serata del libro sci ripido, mi ha seguito nel mio pedalare lungo la Via della Seta e ci siamo visti al Cai di Almese. Cosa dire una bella amicizia. Quando ci troviamo nei nostri occhi brilla una luce particolare; ci vogliamo bene e, guai a parlar male di uno di noi due con l’altro, qualcuno ci ha provato ma è stato sommerso di insulti, provare per credere. Chi conosce Federico sa che la sua modestia skiatoria è pari a quella dei Forti Sci Estremisti. Sentirlo raccontare discese da far venire i brividi o la pelle d’oca con semplicità come se parlasse di una passeggiata con gli sci da fondo è la sua norma. Mi ha fatto molto piacere rivivere momenti lieti passati insieme a lui e mi auguro di poter fare qualche discesa umana insieme. Ah dimenticavo, peccato che sia un gobbo…in tutti questi anni ho cercato di convincerlo a cambiare parrocchia a fargli capire che il suo modo di essere non è da juventino, niente da fare; è proprio vero che nessuno è perfetto!


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