Come eravamo: la mia prima salita al Monviso...

Data 24/10/2008 | Categoria: Come eravamo

Quando qualcuno, un po’ di tempo fa, ha lanciato l’idea dei racconti su “Come eravamo”, mi è venuto in mente di raccontare la storia tragi-comica della mia prima salita al Monviso, una di quelle gite che, per me e per gli amici che vi hanno partecipato, è rimasta davvero nella storia a causa degli eventi accaduti… qualcosa che non potremo davvero mai dimenticare e che ancora adesso, ogni tanto è oggetto di ricordi e risate. Premetto che tutto quanto riportato, sebbene siano passati quasi 20 anni da allora, e forse qualche particolare può essere stato dimenticato, corrisponde a verità, tutta la verità, nient’altro che la verità. Ma andiamo con ordine.
Settembre del 1990, 18 anni da poco compiuti ed inizio di quella libertà di azione da tempo sperata, nel senso che, finalmente motorizzati, insieme agli amici di sempre, cominciano le gite in montagna al di fuori dell’ambito famigliare o dei ‘mitici’ campi estivi parrocchiali.
In realtà, da due o tre anni già si sgambetta parecchio portando a casa qualche bella salita, grazie al fatto che un paio di amici più grandi della cricca sono già motorizzati. Quest’anno in particolare è stato decisamente positivo, con parecchie gite in quota e la conquista, nel mese di luglio, di alcuni ‘quattromila’. Al rientro dalle ferie al mare, la voglia di muoversi è tanta e, prima dell’inizio della scuola, viene finalmente organizzata l’ambita e da tempo attesa salita al Monviso.
Il gruppo è davvero numerosissimo e variegato: io, Marco, Davide, Ivano, Massimo, Raffaella, la nostra guida spirituale Don Mario e suo cognato Spirito… che nell’arco dei due giorni verrà chiamato da tutti “Spirito Santo”.
Partenza nella mattinata del 18 settembre, tutti assiepati sul ‘bellissimo’ furgone marchiato a caratteri cubitali “Ottica Stefano” del Don. Una prima tappa dalle parti di Virle per recuperare lo “Spirito Santo”, quindi finalmente via verso la valle Po. Il viaggio subisce una brusca interruzione poco prima di arrivare a Barge, quando in mezzo ai campi, un fagiano svolazzante, decide di suicidarsi attraversando la strada e centrando in pieno il parabrezza del furgone… gran spavento, inchiodata e… pronto recupero del fagiano, ormai deceduto e prontamente insaccato. Il viaggio prosegue senza altri intoppi fino al Pian del Re, dove, calzati i vecchi scarponi in cuoio che ad ogni gita un po’ seria lasciavano il segno sotto forma di bolle e vesciche in quantità, inizia la salita al rifugio. Finalmente arriviamo al Quintino Sella, le solite formalità per il pernottamento, quindi pomeriggio di ‘svacco’ nei dintorni del rifugio. Pochissima gente oltre a noi… beh è logico è martedì… vi sono solo una coppia di francesi ed un paio di genovesi. Si tratta di padre e figlio che, scoperto dai nostri discorsi che domani saliremo il Viso per la via normale, prontamente ed astutamente, si aggregano alla nostra comitiva per la salita. Dopo l’abbondante cena, condita di buon umore, si va a nanna, o almeno così si tenta. Siamo tutti sistemati in un’unica camerata e oltre al nostro Don, che ben conosciamo per le sue sonore russate, si aggiungono Marco e Raffaella che chiacchierano senza sosta fino quasi al mattino, ma soprattutto i due francesi che iniziano con un attacco di ridarella senza più fine… la sveglia del mattino arriva quasi come una liberazione per tutti quelli che speravano di dormire qualche ora. Una veloce colazione e via si parte alla luce delle frontali. Il gruppo è numeroso e si procede con calma, ma è al Passo delle Sagnette che cominciamo ad accorgersi che… qualcosa non va. Padre e figlio genovesi, arrancano infatti decisamente ed appaiono abbastanza… impediti! Raggiungiamo comunque il Bivacco Andreotti dove i primi arrivati aspettano una buona mezz’ora il resto del gruppo per un ricompattamento, prima di iniziare la salita della parete sud. Qui purtroppo iniziano le prime defezioni a causa della stanchezza e del percorso che si rivela ancora molto lungo. Raffaella è stanca e preferisce fermarsi… Marco, l’unico ad essere già salito sul Viso, decide di non lasciarla sola… aspetteranno un po’ guardandoci salire, quindi con calma rientreranno ad aspettarci al rifugio. Iniziamo la salita… in testa al gruppo, logicamente “Spirito Santo”… esperto montanaro che, da buon cuneese, ha già salito innumerevoli volte il Re di Pietra e conosce la via a memoria… noi altri dietro da buoni scolaretti. Pochi passi e… la verità viene subito a galla e i dubbi precedentemente maturati diventano una certezza. Speriamo vivamente che i due ‘aggregati’ decidano di fermarsi… macchè sono venuti fin qui e vogliono proseguire. Ivano nel frattempo, decide anche lui di fermarsi e ritornare indietro. Rimaniamo in sette… un rapido consulto e ci suddividiamo i compiti. Occorre infatti guidare passo a passo i due genovesi, in più bisogna dare un occhio al Don, buon camminatore, ma non molto esperto e sicuro in arrampicata. A turno ci avvicendiamo, uno davanti ed un altro dietro indicando gli appigli, rassicurando e incitando. Al primo vero passaggio un po’ complicato, si decide di tirare fuori la corda e la ferraglia che ci siamo portati dietro. In quel momento, in particolare, avevo in custodia il ‘figlio’… risalgo la breve paretina rocciosa, cerco uno spuntone per piazzare un cordino, un mezzo barcaiolo nel moschettone quindi lancio il capo della corda per permettere al tipo di legarsi. Dall’alto vedo che armeggia per qualche minuto con l’imbrago e la corda, quindi deciso sale… e cosa vedono mai i miei occhi… “Nooooo!!! Ma che nodo hai fatto?!?”. “Beh, perché non va bene…”. “Noooo! Non va per niente bene…” lo so che non ci crederete, ma il nodo in questione era niente meno che una specie di… fiocco!!!… “Si, ma ho fatto il doppio nodo per sicurezza!” replica sicuro… A Davide e Massimo, alle prese con il padre, non va molto meglio; infatti questi, tira fuori la sua corda per legarsi, nuova di pacca e comprata due giorni prima (come lui stesso afferma)… peccato che la corda in questione sia del tutto fuori luogo per un impiego di tipo alpinistico. Mooolto lentamente, passo dopo passo, in qualche modo, riusciamo comunque a salire. Il Don viaggia alla grande… la vera zavorra sono i due tipi… mannaggia a noi aver acconsentito a farli aggregare… ma ormai… il danno è fatto e ci tocca portarceli dietro. Come non bastasse, a due terzi circa della parete, Max inizia il suo solito attacco di malessere. Dovete sapere infatti che il simpatico Massimo ha una dote particolare: in ogni gita effettuata in montagna, lui ‘deve’ necessariamente star male come un cane, imprecare, buttarsi per terra, rantolare e… finalmente vomitare… poi tutto passa e riparte come nulla fosse successo. Noi che lo conosciamo, ormai siamo abituati e conosciamo tutta la trafila e i tempi della commedia… i due ‘ospiti’ invece rimangono alquanto impressionati dallo show. Alla fine, come sempre, tutto si risolve e si riparte alla volta della vetta. Finalmente, verso le 12.30 circa, distrutti dall’immane fatica, riusciamo a giungere in vetta… più di 7h di salita dal rifugio… davvero un’epopea. I tre soci ritornati indietro ed ormai al rifugio, sapremo poi in seguito, che con il binocolo ci avevano visto sbucare in vetta e ciò li aveva confortati… eravamo ancora tutti vivi… fino a quel momento!
Foto di rito in vetta… allora non avevo ancora una macchina fotografica tutta mia… e infatti di questa salita ho solo una vecchia foto di gruppo sulla cima, in bianco e nero, fatta dal Don e ritagliata dal giornalino parrocchiale ‘Borgaretto Comunità’ sul quale la storica impresa era stata prontamente documentata (LaFiocaVenMola non c’era ancora). La didascalia della foto recitava così “Alcuni amici della montagna posano contenti per sé e per quel capo che con grande sofferenza e sacrificio sono riusciti a raggiungere – Monviso, 19 settembre 1990”.
Inizia la discesa… che si rivelerà altrettanto lunga e delicata, ma come per la salita, passo dopo passo riusciamo ad arrivare tutti sani e salvi alla base della parete, nonostante il buon grado di affaticamento di alcuni. E’ davvero tardi e gli amici al rifugio inizieranno a preoccuparsi… lungo la pietraia verso il Passo delle Sagnette, parto con Davide, di corsa, per tornare al Quintino Sella il più velocemente possibile e rassicurarli. Con un buon passo in effetti, in poco tempo siamo in vista del rifugio e i soci ci avvistano scendere velocemente, nell’ultimo tratto praticamente di corsa. Purtroppo il fatto di vederci in due e di corsa viene interpretato come… cavolo! qualcuno si è fatto male e in due stanno scendendo a chiedere aiuto! Risultato: anche Marco e Ivano, partono di corsa per venirci incontro. Chiarito l’equivoco e sbolognati i nostri zaini, ritorniamo al rifugio, dove finalmente vediamo sbucare sotto al passo il resto del gruppo. Possiamo rilassarci e raccontare agli altri le peripezie vissute grazie ai due ‘amici’ genovesi. Sono quasi le sette di sera quando tutti arrivano al rifugio. I due genovesi sono letteralmente distrutti… e con grandissima gioia accogliamo la notizia che loro… iniziano a scendere, in quanto è tardi e vogliono incamminarsi con calma verso il Pian del Re. Ci salutano e ringraziano per la salita, ammettendo che, se non fosse stato per noi, probabilmente non sarebbero arrivati neanche al Passo delle Sagnette. Lentamente si incamminano per il sentiero… che gioia, finalmente ce ne siamo liberati una volta per tutte! Noi aspettiamo un po’ a scendere, innanzitutto perché abbiamo una fame nera e tra una cosa e l’altra oggi il cibo è stato un miraggio e poi perchè… lasciamo pure che i due vadano avanti così forse non corriamo il rischio di incontrarli per strada… tanto anche se inizia ad imbrunire abbiamo ancora alcune frontali con un po’ di batteria. Ripartiamo anche noi che il sole sta già calando; scesi di un buon tratto, calcoliamo che dovremmo farcela senza problemi a scendere prima che sia proprio buio pesto, quando ad un tratto… sentiamo gridare… poi di nuovo… “Aiuto. Aiuto! Impieghiamo un po’ a capire da dove arrivano le grida… poi li vediamo… sono loooooro! Nooooo! I due fenomeni… cosa avevano combinato?… all’unico bivio che si poteva incontrare, invece di scendere, avevano preso la traccia per il bivacco Falchi-Villata… ma cavolo, ma non si sono accorti che invece di scendere salivano! Ormai quasi al buio e senza più pile cariche per le frontali… non riuscivano più a scendere. Che si fa, che non si fa… Due di noi (sinceramente non ricordo più chi… qualche particolare devo averlo non dimenticato, ma rimosso) sacrificando un paio delle frontali ancora cariche che avevamo conservato per la discesa, salgono a cercarli, mentre gli altri si siedono ad aspettare. “Dove sieeete?”. “Non lo sappiaaamo!”… grande aiuto dei due dispersi che vengono finalmente ritrovati e riportati sul giusto sentiero. Ormai è quasi buio e qualcuno comincia ad agitarsi, in particolare “il padre” continua a ripetere al figlio: “mi raccomando, non raccontare niente alla mamma o stavolta ci ammazza tutti e due!”. In silenzio proseguiamo; abbiamo ancora un po’ di luce delle lampade da sfruttare, poi anche queste ci abbandonano definitivamente… già se invece di sprecarle a cercare i dispersi fossimo scesi direttamente… Siamo ormai quasi al lago Fiorenza e il sentiero pietroso in qualche modo si riesce a seguire. Il tratto lungo il lago invece è terroso-erboso… non si vede una mazza… tirando qualche pietra e… aspettando il… pluuuff!… riusciamo bene o male almeno a non finire nell’acqua. Poi negli ultimi tornanti, nuovamente il sentiero acciottolato aiuta a districarsi nonché qualche fioca luce che arriva dal rifugio del pianoro. Finalmente siamo al nostro furgone… sembra che sia passata almeno una settimana da quando lo abbiamo lasciato, non un giorno e mezzo! Il Don, prontamente tira fuori la torcia che ha in macchina in modo da vederci qualcosa. Sono le 10 passate e al Pian del Re non c’è ovviamente nessuno. Ci stiamo togliendo gli scarponi e caricando gli zaini quando… eccoli di nuovo alla carica… “Non è che potete prestarci la pila… non riusciamo a trovare la macchina!!!” Ora basta! Questo è davvero troppo! … il parcheggio del Pian del Re è grande ma non immenso e ci sono solo un furgone e un’auto… trovarla non ci sembra una cosa così impossibile… ma ci accorgiamo che ormai questi sono in un’altra dimensione e non sanno neanche più come si chiamano. Va bene… alla fine gliela troviamo noi l’auto e quasi li carichiamo sopra… l’ultima cosa che sentiamo mentre ci allontaniamo è… “Papà ma riesci a guidare fino a Genova, non è che sei troppo stanco…”. Scappiamo di corsa al furgone e lasciamo che partano… questi due non li potremo dimenticare davvero mai più. Finalmente partiamo anche noi. Non siamo mai arrivati così tardi a casa dalle gite… vorrei fermarmi da qualche parte per telefonare a casa (i cellulari allora… e cosa sono?) ma di cabine in giro non ne vedo ed anche a Crissolo, bar e locali sono chiusi… va beh, andiamo solo a casa il più velocemente possibile… sono i miei pensieri durante il viaggio, ma penso anche quelli degli altri amici. Ah, piccolo particolare non irrilevante: a Crissolo, vediamo la macchina dei due genovesi parcheggiata davanti ad un hotel… il rientro a Genova sarà per domani… decisamente l’unica cosa saggia che abbiano combinato oggi quei due…. addio e a mai più rivederci! Il viaggio non è proprio brevissimo in quanto occorre fare una breve deviazione per portare a casa Spirito… è oltre mezzanotte quando il gruppo si scioglie nella piazza di Borgaretto. Fine della gita e di corsa a casa… dove ovviamente… un bel cazziatone di quelli mega non ce lo ha tolto proprio nessuno.
Morale della favola: la montagna insegna sempre qualche cosa… questa gita, almeno per me, allora, aveva insegnato tantissimo. La salita al Monviso, pur considerata facile, non dovrebbe essere assolutamente presa sottogamba, soprattutto da gente improvvisata. Probabilmente, senza il nostro gruppo, i due genovesi sarebbero tornati indietro, ma è il fatto stesso di essere partiti, sprovveduti, senza allenamento, senza conoscere il percorso, con un’attrezzatura non adeguata e oltretutto senza saperla utilizzare, sperando di trovare qualcuno a cui aggregarsi e confidando nella gran frequentazione del percorso, secondo me la cosa più grave… decisamente non è questo il modo di affrontare la montagna e soprattutto una salita lunga ed impegnativa come questa.


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