Un bivacco penosissimo alle Barricate!

Data 02/10/2008 | Categoria: Come eravamo

Come eravamo……..Insaziabili arrampicatori!!
Fine del 1982,inizio dell’anno 1983.
In settimana andavo al “ Palazzo a Vela “, prima palestra d’arrampicata coperta in Italia, ad allenarmi e ogni fine settimana arrampicavo a Traversella, a Finale, in Sbarua e al Monte Bracco.
Mi ero affezionato a questa palestra in valle Po, sia per la bellezza del luogo, sia per la piccola comunità che si era formata ai piedi delle falesie.
Del Bracco ho piacevoli ricordi di arrampicate con Adelchi, Elio, Paolone, Franco e Flavio, indiscusso Re della palestra. In quel periodo c’erano ancora vaste zone di roccia che aspettavano i primi salitori , così ci divertivamo a tracciare nuove vie alla Balmalunga, alla placconata dei serpenti, alla parete delle ninfe, alla parete dei corvi, ecc.
Posso dire che in quel periodo mi sentivo in forma, e ho avuto il piacere di legarmi parecchie volte con Flavio , arrampicatore molto attivo anche in montagna, con arrampicate al Pilone Centrale, alla Walker, alle Lavaredo, ecc.
Un bel giorno, ad inizio marzo Flavio mi telefona per chiedermi se l’accompagno a fare qualche tiro su una bella falesia di fondo valle, Parete delle Barricate in alta Valle Stura. Falesia dove mai nessuno era ancora salito, con noi sarebbe venuto anche Mario di Busca.
Così il giorno 12 parto da Torino, vado a Saluzzo a prendere Flavio e ci dirigiamo a Busca dove lascio la macchina e con la vettura di Mario ci dirigiamo alle Barricate.
Quando arriviamo il sole è già alto, non ricordo bene ma penso che fossero già le 10 o le 11.
Parcheggiamo la macchina in uno spiazzo adiacente alla strada, visioniamo le pareti che incombono a chiudere la valle, ricordo che io e Mario eravamo sbalorditi da tanta bellezza e dalla ripidezza della muraglia calcarea. Flavio l’aveva già vista altre volte ed era in dubbio su dove iniziare la salita della prima via. Una cosa è certa, eravamo tutti e tre molto eccitati per essere i primi a mettere le mani su questo calcare grigio che ricorda molto il Verdon.
Flavio scelse il grande pilastro centrale, attraversammo il torrente Stura e camminando su detriti in pochi minuti arrivammo all’attacco della via, così iniziò la nostra avventura.
Eravamo talmente eccitati da tanta bellezza e concentrati ad attrezzare tiro su tiro che non ci accorgemmo del passare delle ore, meglio sarebbe dire che ognuno di noi inconsciamente si rendeva conto che più salivamo e più ci stavamo tagliavamo la strada del ritorno. Ma nessuno dei tre osò avanzare la richiesta di fare dietro front. Dopo i primi quattro tiri ascendenti in obliquo e al di sopra di grandi rientranze concave la via si raddrizzò e puntò verso l’alto dove non si vedeva la fine. A questo punto era impossibile fare delle doppie per scendere e non era proprio il caso di disarrampicare su difficoltà di V e V+, così decidemmo di proseguire verso l’alto cercando di accelerare l’arrampicata per cercare un’eventuale via d’uscita laterale, ma più si saliva e più ci rendemmo conto che avremmo bivaccato.
E così fu, al termine del dodicesimo tiro arrivammo su una cengia lunga un metro o poco più e larga neanche mezzo metro, eravamo quasi all’imbrunire cosi decidemmo di fermarci lì per passare la notte. Ancorate le corde ci sedemmo con le gambe penzoloni nel vuoto, svuotammo gli zainetti per poterli usare come isolanti sotto il sedere. Fu un’ incubo, l’acqua era terminata da un pezzo, non avevamo viveri e soprattutto non avevamo un’ abbigliamento adeguato per bivaccare in montagna a Marzo. La prima ora la passammo a rievocare la bellezza dei tiri appena scalati, a ricordarci gli speroni e le pareti che ci circondavano e ci manifestavamo a vicenda l’intenzione di ritornare ad aprire altre vie, ma appena scese il buio il freddo pungente iniziò a morderci le carni fino alle ossa.
Dalle risate e dalla spensieratezza passammo ad uno stato d’animo di preoccupazione. Eravamo consapevoli che sarebbe stata una lunga battaglia per arrivare al mattino. Infatti, ci dovemmo massaggiare a vicenda per poter combattere il freddo, Mario fu quello che patì di più il freddo e dovemmo abbracciarlo a più riprese e tenerlo sveglio,insomma fu una bella lotta. Nel mio diario tra i vari commenti riassumo il tutto con un lapidario “bivacco penosissimo”.
Verso le 22, più o meno a quell’ora, una macchina si fermò sulla strada vicino allo spiazzo dove c’era parcheggiata la macchina di Mario ed iniziò a strombazzare. Poi un’ uomo si mise ad urlare e a chiamare Mario. Era il fratello che stava andando a passare il fine settimana all’ Argentera e vedendo la sua macchina si preoccupò. Sentivamo in lontananza il nome di Mario e si intuiva qualche parola tipo; socccooorso..alpiiiino. Facemmo dei segnali con il flex della macchina fotografica per dare la nostra posizione, ci mettemmo ad urlare di no, non volevamo che chiamasse il soccorso alpino, ma da sotto non sentiva le nostre urla. Il rumore del torrente copriva il nostro noooo!
Flavio disse che i suoi genitori erano via per il fine settimana, così nessuno si sarebbe preoccupato per il suo mancato rientro, invece io mi stavo chiedendo se……..
Infatti, in piena notte, mia moglie non vedendomi rientrare iniziò a preoccuparsi, al mattino prestissimo telefonò agli amici per sapere se avevano mie notizie, poi telefonò al soccorso alpino i quali dissero che l’unica richiesta di soccorso l’ avevano avuta dalla zona dell’Argentera.
Così Mary telefonò agli amici e ai parenti stretti ed iniziò un lungo viaggio alla ricerca della mia macchina. Il nome Argentera portò la carovana di macchine in valle Argentera in alta valle di Susa, poi richiamarono il soccorso alpino e finalmente si diressero nel Cuneese verso la zona indicata ma quando arrivarono non vedendo la mia macchina fu vero panico. Si stavano chiedendo dov’ ero finito.
I carabinieri consigliarono alla comitiva dei Torinesi di aspettare lì perché avevano già avvistato con i cannocchiali la cordata che procedeva verso la fine della falesia e che ben presto sarebbero scesi. Almeno avrebbero potuto accertarsi se ero uno di quei tre che si erano ficcati nei guai!!.
Torno indietro di qualche ora con il racconto!
Come sappiamo tutti, l’alba è il momento più bello ma anche il più freddo, eravamo già duri come il baccalà ma c’è l’ avevamo fatta ad arrivare al mattino , ora si trattava di scaldarci e prepararci alla salita. Fummo stupiti nel sentire i rumori delle macchine che si fermavano sotto sulla strada. Non avevamo una visuale della strada ma si intuiva che c’era parecchia gente. Cazzarola!! Per circa un’ora continuammo a frizionarci, eravamo lividi dal freddo ma appena le mani si furono riprese dalla bollita ripartimmo con lo stesso ordine di scalata del giorno prima.
Flavio capocordata, Mario ed io da secondi. Mario arrampicava cinque o sei metri sopra di me, io chiudevo la fila recuperando i chiodi e i blocchetti. Per uscire dalla muraglia percorremmo altre otto lunghezze di corda con difficoltà tra il V+ e il VI, poi due o tre tiri sui ripidi prati innevati ci portarono sulla sommità.
Mentre salivamo, alla nostra sinistra in lontananza vedevamo i ragazzi del soccorso che si erano messi in marcia per raggiungerci in vetta, così alla nostra uscita trovammo tre o quattro ragazzi non preoccupati, avevano potuto constatare che non eravamo nei pasticci, ci offrirono del caffè caldo, uno di loro riconobbe Flavio come compagno di scalate del Bracco e così fraternizzammo ma quando scendemmo ed arrivammo sulla strada….mamma mia!
Soccorso Alpino, Carabinieri, Guardia di Finanza, amici, parenti, curiosi…..
Una parte che era curiosa di sapere com’era la roccia, le difficoltà e ci diceva che eravamo sati bravi, un’altra parte che era inbufalita.
Gli amici, non del giro dell’arrampicata e i parenti che mi assalirono e continuavano a dirmi;”Ora stai diventando padre, metti la testa a posto”, la meno arrabbiata ma la più stanca di tutti era mia moglie con il pancione. La giornata finì al bar dove dovemmo pagare da bere a non meno di 50 persone.
Dopo aver promesso e ripromesso di ….non mettermi più nei casini, la settimana successiva eravamo di n uovo sulla roccia.
Alla fine del mese ci recammo in Calanque, con Flavio arrampicammo a En Vau e a Sormiou, vie stupende, una più bella dell’altra, dopo qualche giorno fummo raggiunti da un suo amico di Crissolo di nome Tristano, un “Galletto” che dopo qualche mese avrebbe fatto parlare di sé per la sua audacia nel percorrere in solitaria delle vie di grandissima difficoltà.
Facemmo ancora qualche salita alla “Candelle” poi una sera telefonai a mia sorella la quale mi chiese di tornare subito a casa; sai…papà…ospedale…
Così la febbre dell’arrampicata ad ogni costo terminò, la malattia di mio padre e la nascita di Marta mi portarono a riconsiderare il mio rapporto con la vita e la “Montagna”.
Aha, mi stavo dimenticando!
Le Barricate si possono definire come una delle falesie più alte d’Italia.
La nostra via, è stata salita nei giorni 12-13 marzo 1983. Flavio l’ha chiamata “ VIA DEI FOLLETTI DI MARZO”.
Ha uno sviluppo di circa 800-900 metri, con difficoltà di grado TD, abbiamo lasciato 3 o 4 chiodi.
Tempo impiegato; 16 ore circa con un “BIVACCO PENOSISSIMO”.
Nei mesi e negli anni successivi sono state aperte altre vie, Flavio e Tristano hanno aperto gli itinerari più belli, mi rimane il rammarico di non aver potuto partecipare ad altre salite alle Barricate.
Ma la scimmia che si era assopita si stà risvegliando, chissà se……….



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