Cima centrale di Valeille in sci (1975)

Data 21/09/2020 | Categoria: Come eravamo

Inutile che cerchi, su “Gulliver” non c’è, con gli sci ci vanno in pochi. Forse tutti quelli che ci sono stati, in quest’epoca di esposizione mediatica del proprio quotidiano, vogliono conservare almeno un segreto e non lo dicono a nessuno, come i cercatori di tartufi che non rivelano dove li hanno trovati…No, dubito che sia questa la ragione . E’ più verosimile che dipenda dal fatto che ci vogliono due giorni, a meno di sobbarcarsi 2.160 metri in giornata, cosa non proprio da tutti, e perché a volte bisogna salire a piedi i primi 600 metri , partendo da Tressi di Forzo Canavese, a soli 1150 metri, oppure, come abbiamo fatto noi, combattere a lungo con la boschina che impedisce di capire dove si sta andando e ai velocisti di sfrecciare come razzi in salita e altrettanto in discesa in un turbinio circolare da criceti della montagna. E’ descritta però nelle vecchie guide di carta, quella di Poma e quella di Grilli, il quale a dire il vero non ci ha messo neppure una stella, si vede che non gli è piaciuta o forse non c’è stato neanche lui. Ne parla sul suo blog anche Ettore D., che è stato proprio dappertutto, ma non sulla cima, c’è da arrampicare un po’ e la neve non deve essere troppa. Fa parte di un’età dell’oro dimenticata dello scialpinismo, quando la seconda parte del termine “sci-alpinismo” pesava quanto il primo, soppiantata dall’età della plastica, del carbonio, dei gel e della velocità. Quelle della val Soana sono montagne ostiche da salire con gli sci e danno l’idea d’essere più in sintonia con quelli vecchi di legno e cinghie di cuoio dei nostri nonni. Infine, ormai nevica di meno alle basse quote. Insomma, c’è sempre un buon motivo per andare da un’altra parte. Per il manipolo di ostinati amatori dell’inesplorato, del “fuori dalle tracce consuete” che ha superato la cortina di rami e rametti di frassino e nocciolo ed è arrivato al bivacco Revelli, il premio sarà il piccolo ghiacciaio di Chardoney (chissà se in estate resiste ancora?) , niente a che vedere con gli immensi e patinati ghiacciai dei quattromila famosi: nascosto, frequentato solo da camosci e stambecchi, senza crepacci, liscio e incastonato come un diadema povero tra le tre cime di Valeille e l’Uja di Ciardonei. La notte in bivacco poi è una questione di gusti e di odori–le coperte allora, tanto per dire, sembravano le stesse che avevano accolto Irvine e Mallory (sì proprio quelli-forse saliti per primi sull’Everest ma morti durante la disacesa, e che nel 1911, in questa valle canavesana, fecero la prima traversata integrale per cresta Cime di Valeille-Punta di Ondezana) e se vai solo per sciare, meglio che cambi meta, la discesa qui è un surplus, un affare di estetica in un contesto di etica.

P.S. Il bianco e nero delle foto, se ricordo bene, non fu una scelta estetica, ma dettata dagli alti costi delle diapositive Ektachrome. Per la cronaca la Kodak, dopo aver interrotto la produzione della pellicola Ektachrome nel 2012, ha deciso di rimetterla in commercio l’anno scorso, segno che in ogni settore dell’agire umano ci sono inguaribili nostalgici di un tempo in cui le cose che avevi erano più rozze e molte di meno, ma le potevi aggiustare con il fil di ferro e lo spago.

Nelle foto allegate:
1. Al Bivacco Revelli-Viano, m. 2610, Val Soana. Aprile 1975
2. Ghiacciao di Chardoney
3. Gente e scarponi del secolo scorso presso Tressi di Forzo canavese

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