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Alpinismo : ...e la Sbarua mi vide arrivare.
Autore: L'alchimista (Notizie dello stesso autore)
Notizia inviata il: 01/10/07 23:47
Notizia riferita al: 01/10/07
Letture: 1824

…e la Sbarua mi vide arrivare.
Così si intitolava un articolo apparso nella metà degli anni ’80 sulla Rivista della montagna e questa frase emerge dalla memoria ogni volta che arrivando al colle del Ciardonet, mi appare il profilo famigliare della Rocca. Molto si è scritto e detto su questa palestra di roccia, ma personalmente credo che questa immagine sia la più bella.
A volte arrivo al colle con la mountain bike,per poi lanciarmi in discesa nel bosco dell’Impero,nome evocativo di guerre stellari dove ti aspetti da un momento all’altro lo sgambetto di qualche maligna radice che ti manda a gambe all’aria. Oppure per salire al rifugio Melano,cambiarmi,mangiare qualcosa, far due chiacchiere e poi lanciarmi verso Cantalupa su bellissimo sentiero che cede poi il posto ad una mulattiera mal andata,ma con una fresca fontana al suo fondo.
Qualche volta, anni fa, arrivavo con i miei due bambini e mia moglie,a vagare per boschi e sentieri alla ricerca di salamandre e funghi,ma soprattutto a sollecitare la curiosità e la voglia di libertà che i bambini hanno. Anche allora il rifugio era un punto di arrivo,sicuro e rilassante,giocare tra i tavoli di legno era il premio per aver camminato a lungo tra i boschi.
Il più delle volte ci sono arrivato per andare a scalare.
La mia prima vera via da capocordata l’ho salita al Torrione Talucco, con la mia fidanzata,poi diventata moglie,con una corda improponibile per peso e spessore,con moschettoni,cordini, chiodi e martello,non mi osavo andare proprio alla Sbarua,così scelsi un luogo vicino e defilato. Anche il primo “volo”da capocordata fu sul Torrione Rivero,alla variante “Beglio” dello spigolo omonimo,un lunga fessura orizzontale che taglia la parte alta dello sperone e che richiede decisione e resistenza,mi mancò la prima e di conseguenza esaurii la seconda,il volo a pendolo fu fermato da uno dei primi nuts che imparavo a mettere. Buonanima di Algarot,che mi faceva attenta sicura,mi apostrofò alla sua maniera "Cardonatti (lui chiamava tutti per cognome), ti avevo detto che ti saresti cacciato nei guai,però hai messo proprio bene quel nuts,quasi quasi li compro anch’io.”
Si arrampicava sulle poche vie presenti, con chiodi e martello appesi all’imbracatura, il tempo degli spits si avvicinava inesorabilmente, ma noi non lo sapevamo, si viveva un’epoca fatta di miti, di timori reverenziali, di convenzioni da rispettare, che a noi giovani stavano un poco strette,ma che accettavamo.
I miei compagni di allora, più vecchi di me frenavano le intemperanze che inevitabilmente portavano i più giovani di noi a fare qualche cazzata, ma trasmettevano storie, racconti e cultura che sarebbero diventati parte fondamentale del nostro modo di essere alpinisti della domenica. Ci seguivano nei tentativi che la nostra incoscienza, non bravura, ci portava a fare sulle vie “culto” e assecondavano la nostra voglia di fare, ma ci conducevano poi con molta saggezza sulle vie in montagna, dove riuscivamo a coniugare queste nostre diversità portando sempre la pelle a casa, divertendoci e imparando qualcosa che col tempo ci sarebbe tornato utile.
Al colle ci sono arrivato con molti compagni più bravi di me, con amici alle prime armi, con mio padre come compagno di cordata, finalmente ritrovato, dopo gli anni dell’adolescenza e del distacco famigliare, con una grande passione comune.
Ci sono arrivato con Gianluca ed i suoi 16 anni, vero talento naturale, capace di tirarsi in libera da primo vie come Vojage, lo scudo d’Enea, lo spigolo centrale e di aprire vie con Grassi a Sea.
In Sbarua conobbi “Grillo” che diventò compagno ed amico fedele per molti anni e che mi sopportò nel difficile periodo in cui ero convalescente da una brutta e debilitante malattia. Con lui feci le vie più difficili del tempo, dallo spigolo a nani acidi, da ragnatela di vetro alla Motti e Grassi,alla Barbi. Il più delle volte tirato su come “en buieul ed merda”. Fu anche compagno di sci ripido e proprio per la sua particolare tecnica di curva saltata si meritò il soprannome di “Grillo”, tecnica che lo portò a visitare le profondità remote di un crepaccio del ghiacciaio della Girose,da cui emerse miracolosamente illeso,ma profondamente trasformato nello spirito. Era l’epoca in cui gli spits avevano fatto la loro comparsa nell’apertura di vie nuove e cominciavano a sostituire i chiodi a pressione su quelle tradizionali.
Sono tornato in Sbarua con altri compagni, quando gli spits erano comparsi anche sulle vie tradizionali, richiodate e risistemate ad uso di una nuova generazione di arrampicatori, più “sportivi”e con meno “memoria storica”. Ho continuato ad arrampicarci sopra a concatenare torrioni a discutere su gradi e difficoltà a mangiare tomini ed acciughe al verde. Il rifugio Melano era lì, non bello certo, ma era lì da sempre. Sapevi che potevi lasciare lo zaino dentro o fuori sulle panche nessuno lo avrebbe toccato. Era un rito piacevole arrivare dalla scalata e posare il materiale sui tavoli fuori del rifugio, ordinare da mangiare mentre si divideva il materiale, s’incrociavano sguardi, si salutava compiaciuti di trovare un amico o di essere riconosciuti da qualcuno incontrato in qualche altra scalata, in qualche altro luogo. Vedere un mostro sacro,magari strappargli un saluto ricevendo l’ammirazione e l’invidia degli amici. Anche se eri un semplice arrampicatore della domenica e faticavi sul V grado,in fondo ti sentivi a casa,respiravi un’aria comune ed eri anche tu uno di “loro”. Quando tornava una cordata dalle Placche Gialle,seguita magari negli ultimi tiri seduti al rifugio,commentandone con ammirazione la bravura e sognando di poter un giorno salire anche tu la Guido Rossa,ti avvicinavi al loro tavolo,ascoltando il racconto della scalata,cercando di carpine i segreti. Si era un po’ delusi, quando arrivati si scopriva che il rifugio era chiuso, ma sapevi che i tavoli fuori si sarebbero in ogni caso riempiti di gente, a mangiare, a discutere a guardare.
Il rifugio era parte integrante della Sbarua, arrivando a condizionare gli stili con l’opera dei suoi gestori.
Magari con scelte discutibili sulle richiodature,ma fondamentali per il mantenimento e la pulizia dei sentieri,la cartellonistica,la manutenzione delle vie.
Ci sono tornato anche ieri in Sbarua, con nuovi amici, ultimi di una serie lunghissima con cui mi sono affacciato al colle del Ciardonet in oltre venticinque anni.
Il clima malinconico e le nebbie basse hanno fatto sì che questa volta la Sbarua non ci ha visto arrivare, ovattati e umidi abbiamo ripercorso il sentiero, un occhio ai lati, per scoprire qualche fungo, un occhio a terra per non pestare le salamandre gialle e nere. L’odore dell’umido e del sudore bagnato dalla pioggerellina ci accompagna sull’ultima rampa accanto ai bagni del rifugio. Ma arrivati su scopriamo che non c’è più nulla,non ci sono tavoli,non c’è più il rifugio al suo posto un buco e qualche maceria. Non abbiamo potuto ripararci sotto il tettino di lamiera, seduti sulla panca, cambiarci e lasciare gli zaini. La nebbia avvolgeva le pareti, sembrava di essere in un “non-luogo”. La nuova strada sterrata ha cambiato anche la fisionomia del posto, fatico quasi a trovare il sentiero per la normale.
Scalando la nebbia copre tutto sotto di noi, quasi a voler nascondere quello che “non c’è più” e posso ancora immaginare il tetto di lamiera di un colore ormai indefinibile laggiù sotto i miei piedi.
Tutto sembra quasi irreale, la mancanza di gente, di grida, richiami, imprecazioni che si rincorrono tra le pareti, fatico a riconoscere, a ricordare,confondo la zona del Bianciotto con quella del Mont Blanc,finiamo su una via che non ho mai fatto. Anche in discesa,nebbia e pioggia rendono tutto irreale. Solo la roccia è sempre quella, ne riconosco l’odore, la sento sotto i polpastrelli,la placca della Sbarua è unica,palpabile.
Al ritorno non ci sarà sosta al rifugio, ma solo cammino su questa strada nuova, per curiosità. Arriviamo vicino al colle del Ciardonet, Enrico mi chiede se si vede dove abbiamo scalato, non mi giro e rispondo meccanicamente: No oggi la nebbia non ci farà vedere nulla. Ecco da questo punto, un poco più avanti oltre il colle, si vede bene, mi giro e …eccola! Libera da nebbia ci appare di profilo,Enrico fotografa mi immagino la sua emozione.
Ha voluto salutarci, rassicuraci che è ancora lì. Passano gli uomini,gli stili di arrampicata,le protezioni,i rifugi…Lei è sempre lì,padrona assoluta del luogo e del tempo,noi possiamo solo costruirci attorno delle storie,dei rimpianti,dei ricordi.
Ci vedrà ancora arrivare con i nostri zaini carichi di paure, di voglia di scalare, con amici nuovi e vecchi, testimone del tempo che passa, delle azioni degli uomini.


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Commenti
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Autore Commento
fedeneg
Inviato: 3/10/2007 13:21  Aggiornato: 3/10/2007 13:21
Guru
Iscritto: 3/1/2007
Da:
Inviati: 200
 Re: ...e la Sbarua mi vide arrivare.

Autore Commento
paol8
Inviato: 3/10/2007 19:51  Aggiornato: 3/10/2007 19:51
Matricola
Iscritto: 20/2/2007
Da:
Inviati: 7
 Re: ...e la Sbarua mi vide arrivare.

la Sbarua... lì ho iniziato ad arrampicare, mi ricordo la prima arrampicata e le prime manovre di corda sul torrione Giuditta, su una temibile via con passaggi di II+. Poi la normale, la Rivero, la Cinquetti, quindi le vie o i monotiri sul sei a o addirittura sei bi(e come ne andavo orgoglione).
E' bello arrampicare alla Sbarua, la vista sulla vicina pianura, sul Monviso e sulle altre vette, oggetto delle mire alpinistiche dell'estate.
Ricordo di avere arrampicato immerso nella nebbia con i cinghiali che grufolavano alla base della parete, di avere arrampicato qualche giorno prima di Natale con una temperatura così bassa che le dita non riuscivano ad afferrare le tacchette dello gneiss, di avere aiutato ad attrezzare una
via e di avere ricevuto come ''premio'' una polenta con i funghi al Melano, di essere tornato dal rifugio di notte, sotto la luce della luna.
E' da un pò di anni che non arrampico più, ho cambiato modo di andare in montagna, di vedere le cose e di pensare, ma questo è un discorso che con la montagna ha poco a che fare...
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