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Escursionismo : Un anello sui luoghi di una grande tragedia
Autore: Beppe46 (Notizie dello stesso autore)
Notizia inviata il: 05/09/14 18:08
Notizia riferita al: 03/09/14
Letture: 1990

Un anello sui luoghi di una grande tragedia

Località di partenza: Parcheggio prima del ponte Daz Itrei sul Chisone mt. 1614
Dislivello complessivo: mt. 1625
Tempo complessivo: 9 ore e 30 minuti c.ca
Difficoltà: E
Riferimenti: Carta dei sentieri e stradale 1:25.000 n° 2 Alta val di Susa – Alta Val Chisone Fraternali Editore

Il 19 aprile 1904 due gigantesche valanghe staccatesi da monti Bric Ghinivert e Bric di Mezzogiorno travolsero 81 minatori che stavano scendendo a valle seppellendoli sotto un’enorme massa di neve. Solo il 28 giugno, quando il grande cumulo di neve compattata restituì il cadavere dell’ultimo minatore, fu possibile rinchiudere la fossa comune nel cimitero di Laval dove ora riposano 74 degli 81 minatori periti nella sciagura.
La tragedia avvenne sui monti della val Troncea, dove nasce il Chisone, perché nelle miniere poste sullo spartiacque con il vallone di Massello si lavorava tutto l’anno, anche d’inverno. Proprio per il timore di rimanere bloccati dalle abbondanti nevicate i minatori decisero di scendere a valle. Un colpo di tuono fortissimo si fece udire e prima ancora che i minatori si rendessero conto dell’accaduto vennero travolti e trasportati a valle come fuscelli da un’enorme massa di neve.
Di rame, minerale estratto alle miniere del Beth, è fatto il monumento eretto in ricordo dei minatori presso il ponte Daz Itrei sul Chisone. Proseguendo verso il fondo della valle, superata la Tuccia opificio dove il materiale veniva lavorato, un sentiero si stacca portando alla lapide posizionata nel punto in cui si fermò la grande valanga. Poi, percorrendo la traccia costruita per il trasporto a valle del minerale, si raggiungono i forni di S. Martino, l’Angolo ed infine l’ingresso alle gallerie. Guadagnato il colle del Beth, si sale da questo prima sul Bric Ghinivert poi sul Bric di Mezzogiorno, i monti dai quali si staccarono le valanghe che travolsero i minatori. Si torna poi a valle per altra via.
L’escursione si svolge nell’incantevole val Troncea avendo di fronte la spettacolare catena di monti che la separa dalla valle Argentera, con le vette che vanno dal monte Banchetta al Barifreddo passando per la Rognosa del Sestriere e altre cime.

Percorsa la val Chisone, oltre l’abitato di Pragelato si prosegue sino alla rotonda dov’è segnalato l’accesso alla val Troncea. Superati gli insediamenti di Plane e Pattemouche si può lasciare l’auto presso il grande parcheggio prima del ponte Daz Itrei sul Chisone dove inizia la strada per valle.
Sulla destra, prima del ponte sul corso d’acqua, è stato eretto il monumento in rame, minerale estratto dai minatori, che li ricorda. Molto commovente la scritta posta in basso sul lato destro.
Oltre il ponte l’accesso ai mezzi motorizzati è interdetto. Due stradelli di qui partono ed è indifferente la scelta che si può fare poiché entrambi più avanti confluiscono in un punto. Pertanto per cominciare si prende quello di destra, sulla sinistra idrografica del torrente, mentre per tornare si sceglierà quello che percorre l’opposta sponda. Pista per lo sci da fondo d’inverno, lo stradello che si prende s’inoltra lungamente quasi in piano addentrandosi via via nella valle superando nel procedere prima il vecchio mulino, ora riattato, poi le ampie radure dove a margine sono visibili le recenti opere di sistemazione delle sponde e dell’alveo del torrente, raggiungendo infine la Tuccia dove sorgono i resti di un grosso opificio industriale. Qui, dove terminava la funicolare discendente dall’Angolo, il materiale proveniente dalle miniere in quota veniva lavorato. Un sentiero didattico aggira da monte i resti di questo notevole insediamento industriale e numerosi cartelli esplicitano le varie fasi delle lavorazioni ed altro ancora. Merita essere visto.
Proseguendo oltre ancora per poco quando si trovano le indicazioni per la Grangia del Vallonetto ed il passo Banchetta si attraversa il Chisone portandosi così sulla strada che percorre l’opposta riva. Oltre la croce in legno ed il bivio segnalato per Troncea, insediamento che poi si raggiungerà, si continua sullo stradello che s’addentra sempre più verso il fondo della valle seguendo ora l’indicazione per l’alpe Mey. Molto più avanti, superato su un ponticello di legno un rio, in località Lou Fournée lo si lascia prendendo il sentiero per la lapide dei minatori e per Troncea. Non troppo evidente nel bosco, segnata però da paletti di legno, attraversato il rio la traccia si porta verso monte raggiungendo il punto in cui sulla roccia è stata posizionata la lapide in ricordo dei minatori periti, esattamente nel punto in cui si fermò la grande valanga. Resti di alberi divelti testimoniano che spesso questo accadimento doveva ripetersi. Con già in vista le case di Troncea, che dà il nome alla valle, presto si raggiunge questa località dove ora è presente un rinnovato rifugio nei pressi della fontana dove conviene fare provvista d’acqua perché quella che più su si troverà, fuoriuscente dalla galleria, è imbevibile. Poco più il là delle indicazioni suggeriscono come raggiungere le miniere, il colle del Beth ed il monte Ghinivert segnalato a 3 ore e 50 minuti. Per salire ai forni di S. Martino, dove prima che funzionasse la teleferica per il trasporto a valle del materiale la calcopirite estratta veniva arrostita e ridotta, si prende ora il sentiero dei minatori che s’inoltra oltre le case subito raggiungendo il bivio per Seytes, traccia che poi si prenderà per tornare. Le numerose svolte che seguono nel bosco, studiate apposta per l’utilizzo delle slitte, consentono alla traccia di alzarsi sempre più e quando terminano si guadagna una piccola radura chiusa al fondo dalla Roccia Curba dove si piega a destra proseguendo per un lungo tratto quasi in piano. Fuori dal bosco si termina alla base di una detritica balza di cui si guadagna la sommità con una serie di svolte intervallate da lunghe diagonali ascendenti. Una breve deviazione porta ai resti dei forni di S. Martino raggiunti anche dal sentiero che scende dal colle dell’Arcano, traccia che si utilizzerà tornando. Per intanto si prosegue in ascesa con un lunghissimo traverso che porta al bivio dove si trova l’indicazione per raggiungere l’Angolo e le miniere, oppure il Ghinivert: entrambe le tracce conducono al colle del Beth. Proseguendo diritti, oltrepassato un valloncello, più avanti emergono i ruderi dell’Angolo dove le benne dei vagonetti discendenti un piano inclinato venivano agganciati alla fune portante della funicolare per terminare la loro corsa a fondovalle alla Tuccia. Percorrendo lungamente ciò che resta di questo piano inclinato, più su si raggiunge il piazzale antistante la galleria Bernard, certamente la più importante dell’intero complesso ora fatta collassare per ragioni di sicurezza. Qui, tutt’intorno ogni cosa, rocce, anche l’acqua, ha il colore del rame. Traversando poi sulla sinistra della galleria, sempre salendo ci s’immette sul sentiero per il colle del Beth precedentemente abbandonato per raggiungere l’Angolo. Un ultimo traverso ascendente e qualche svolta sul detritico pendio degradante dal Bric di Mezzogiorno consentono infine di guadagnare il colle del Beth mt. 2784.
4 ore e 30 minuti c.ca dal ponte Daz Itrei.
Sul colle è presente un rustico bivacco le cui chiavi sono reperibili presso l’Ente parco a Pragelato. Ben dotato, ma privo d’acqua da attingere ai sottostanti laghetti, dà sul vallone di Massello, laterale alla valle Germanasca. Sulla destra s’erge la rocciosa massa del Bric Ghinivert, sulla sinistra il Bric del Beth o di Mezzogiorno, le montagne dalle quali scesero le valanghe che travolsero i minatori. Per salire sulla prima cima ci si inoltra oltre il colle e rasentando i resti della polveriera si prosegue con un lungo tratto quasi in piano traversando per detritici pendii. Più avanti, quando si comincia decisamente a salire, s’affronta l’estesa pietraia che porta ad un colletto sul crinale. Si sale faticosamente, senza particolari difficoltà stando su una traccia sempre ben segnata e segnalata da diversi ometti che porta sul versante di Massello dove si affronta l’ultimo tratto, da percorrere con una certa attenzione, che precede il raggiungimento della storta croce di vetta del Bric Ghinivert mt. 3037. Dalla vetta veduta ampissima sui monti e sulle valli.
45 minuti c.ca dal colle del Beth.
Scesi per la stessa via al colle del Beth, si sale ora sul monte all’opposto: il Bric di Mezzogiorno. La salita all’ometto di vetta a prima vista pare impegnativa, ma non lo è. Una traccia, evidenziata di tanto in tanto da sbiaditi segni biancorossi, s’inoltra seguendo il crinale passando per un primo colletto che si raggiunge aggirando il roccioso rilievo sulla destra. Diventando più evidente si superano le successive rocce allo stesso modo, guadagnando infine l’anticima e poi, con un breve traverso, la vetta vera e propria mt. 2986 contraddistinta da un grosso ometto.
1 ora e 15 minuti c.ca dalla vetta del Bric Ghinivert.
Per raggiungere il colle dell’Arcano si segue fedelmente il crinale opposto e lo scendere allo stretto intaglio non comporta alcuna difficoltà perché, pur essendo la traccia inesistente a tratti, poco evidente, appaiono però di tanto in tanto i soliti segni che indicano il cammino di discesa comunque percorribile anche senza alcuna indicazione. Il colle dell’Arcano mt. 2783 è anche raggiunto da una traccia che sale dal vallone di Massello e che poi, per diversa via, raggiunge il colle del Beth, mentre un’altra prosegue tagliando a mezza costa i ripidi pendii orientali del monte Ruetas: è lo spettacolare sentiero costruiti dagli alpini che, passando per il Morefreddo, raggiunge infine lo storico colle del Pis. Un’altra traccia s’abbassa sul sottostante vallone, ed è quella che si prende per tornare ai forni di S. Martino. Sempre ben segnato da paletti con gli anelli, frecce metalliche, ometti, il sentiero s’abbassa inizialmente seguendo la linea di massima pendenza per poi scendere verso la sottostante conca prativa con una lunga si serie di svolte che mitigano la discesa. Giunti al fondo si supera la successiva balza allo stesso modo percorrendo infine il lungo traverso da destra a sinistra che riporta ai forni di S. Martino dove ci si immette sulla traccia discendente dal colle del Beth. Si fa a ritroso la strada percorsa in ascesa, il sentiero dei minatori che porta al bivio per Seytes poco prima di raggiungere Troncea. Questa scelta consente di fare meno strada possibile perché oltre Seytes il sentiero scende direttamente a Laval. La traccia che ora si prende prosegue in falsopiano traversando lungamente per praterie e boschi. Sempre evidente, ben segnata, alterna lunghi tratti in piano ad altri dove si scende o si sale, sempre di poco, dove è impossibile perdersi. Così continuando si giunge in vista dell’ insediamento di Seytes, villaggio fantasma, con le case bruciate per rappresaglia dai tedeschi nell’aprile del 44 e mai più ricostruite. Qui delle indicazioni suggeriscono come scendere a Laval. Il sentiero, ancora sempre ben segnato, lasciando le praterie s’abbassa a tratti ripido nel bosco, praticando una serie infinita di svolte che consentono di raggiungere al fondo lo stradello della val Troncea sul quale ci si immette. Superato il Baracot del Parco subito si giunge a Laval dove è doveroso fare la piccola deviazione che porta alla chiesa di S. Giacomo e al vicino, piccolo cimitero. Si sale lungo lo stradello che porta a Joussaud e quando si raggiunge l’ultima abitazione, ora diventata casa di soggiorno, si scende alla chiesa e al vicino cimitero dove riposano 74 delle 81 vittime della grande valanga. Un cippo ed un lungo elenco suddiviso per provenienza con l’età, le ricorda. Commovente ed impressionante allo stesso tempo. Tutti gli anni, il 19 di aprile, viene celebrata per esse una messa nella chiesetta.
Poi, senza particolari problemi, si percorre il tratto di strada che riporta al ponte Daz Itrei sul Chisone, con un ultimo sguardo al monumento eretto in ricordo delle vittime della grande valanga del 1904.
3 ore c.ca dalla vetta del Bric di Mezzogiorno.
NOTA FINALE: Per quanti volessero approfondire l’argomento, consiglio il volume di Avondo, Castellino, Rosselli “Pragelato, il Beth e le sue miniere”. Alzani Editore
Molto meno ne parla l’articolo che si può trovare sulla Fioca su C’era una volta, di Beppe 46, titolato “La tragedia del Beth” pubblicato il 06/08/2011.

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