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SciAlpinismo : Appunti dalla punta delle Guglie
Autore: vecchiomio (Notizie dello stesso autore)
Notizia inviata il: 03/04/14 21:26
Notizia riferita al: 03/04/14
Letture: 1119

Visionari
Non è vero che guardando lo stesso oggetto tutti quanti vediamo la stessa cosa. Se Cézanne fosse qui adesso, con gli acquerelli, la tavolozza e la sua ossessiva esigenza di catturare i colori della luce e le ombre dello spazio, vedrebbe un paesaggio diverso da quello che appare a me, che lo attraverso attento ad altri particolari. Lui- Paul Cézanne- preferirebbe restare fermo in un punto per ore, giorni, anni, come fece davanti alla Montagna di Sainte Victoire, a studiare i mutamenti delle sfumature delle rocce dai toni caldi, quelli bianco-grigio-cenere-latte della neve e quelli azzurri dell'aria. Cerco anch' io, ad ogni modo, con altri mezzi, di trasformare questo luogo che non ha un volume definibile, ma fatto solo di spazi mutevoli ad ogni passo, in un ambiente famigliare. E' il fascino dell'esplorazione di nuovi terreni. Avanziamo dunque in un susseguirsi di dossi, vallette innevate, costoni rocciosi, conchette, tutte simili, senza linee evidenti di riferimento, tranne, lontana e alta, la linea di cresta spartiacque con la Valle Po.

La traccia
La chiave per non naufragare in questo spazio non definibile dai volumi della geometria euclidea e forse anche da altre, é "la traccia" impressa dagli sci sulla neve. La traccia è la linea con la quale prendiamo le misure rispetto al pendio che percorriamo, il filo che riporta una parvenza di logica in una natura selvatica priva di legami con il mondo umano. Essa trasforma l'universo sconosciuto in un luogo esplorato, il caos in ordine, l' inconscio in coscienza. La traccia "deve" essere logica: non troppo ripida, né inutilmente divagante, né anticipatoria di dislivelli in faticosi mezzacosta, né stupidamente sfidante le leggi della meccanica e della termodinamica, pronte ad esprimersi sui pendii carichi. La traccia è una piccola opera d'arte che esiste già la dove gli occhi visionari dello scialpinista la disegneranno, estraendola dalla superficie intonsa della neve.

Lentezza e velocità
Da un anno non mi capitava di dover battere pista in salita: sempre c'erano a precedermi di ore agili giovinotti e giovinotte in tute aderenti aerodinamiche antivento, antisudore (antifatica?). Un giorno una ragazza mi è transitata di lato elegante e flessuosa, leggera come una farfalla e inesorabile come un trattore parlando al telefono per scomparire in pochi minuti all'orizzonte. Un'altra volta un gruppetto di ragazzi mi è comparso d' improvviso alle spalle sfidandosi a salire su uno sci solo. Sto aspettando colui che prima o poi mi sorpasserà procedendo a grandi balzi cangureschi solo sui bastoncini, senza sci, per essere più leggero. Oggi no, i corridori sono altrove, ci siamo solo Andrea, io e i camosci. Andrea è meno in forma del solito per battere tutto il tratto superiore dove si affonda e sui camosci non posso contare, quindi mi tocca passare in testa negli ultimi trecento metri di dislivello.

Camosci
Camosci in branco ci guardano incuriositi dall’alto di un costone, poi a grandi balzi scappano verso un luogo indefinito, nel bianco della neve, più lontano. Qualcosa di antico e misterioso, impresso nel loro DNA, li costringe in quelle terre alte, benché innevate per sei mesi l’anno, sferzate dal vento, prive di anfratti naturali sotto cui ripararsi e avare di cibo. Quel qualcosa impedisce loro di spostarsi più a valle, dove potrebbero brucare nei pascoli e tra i cespugli erbe più tenere e rigogliose. Preferiscono essere padroni incontrastati di quella zona inospitale fatta di pietre, neve e licheni piuttosto che condividere con altri una mensa più ricca. Noi umani invece abbiamo invaso tutte le nicchie della Terra, dalla cima dell’Everest agli abissi degli Oceani, ma in ogni luogo siamo solo ospiti, mai integrati veramente in esso, abitatori disadattati, rozzi, distratti, spesso inconsapevoli: è il prezzo da pagare per non avere un destino predeterminato come i camosci. Almeno oggi però, cerchiamo di essere discreti e leggeri, diciamo a bassa voce poche parole, mentre saliamo in sci lasciando una traccia effimera sulla neve senza cancellare la fila di impronte dei loro zoccoli. Almeno oggi li guardiamo come nostri simili, senza l’arroganza della superiorità che ci è abituale quando osserviamo gli animali.

Croci
Quelli della Val Masino e dintorni - Merizzi e soci- hanno fama d’ essere da sempre i più scanzonati e irriverenti tra gli arrampicatori: qualche anno fa ad esempio portarono una statua di Budda in terracotta alta 80 cm in cima al Badile, provocatoria dimostrazione contro la supremazia dei simboli cattolici- croci e madonne - disseminati sulle vette delle nostre Alpi. Il fatto diede origine a “vibranti” proteste su giornali e web da parte di escursionisti, prelati, arcivescovi e a repliche altrettanto convinte in favore di quell’ iniziativa cultural-religioso-goliardica. Devo dire che, nonostante il mio agnosticismo, le croci e le vergini (marie) sulle cime non mi hanno mai dato particolare fastidio, magari qualcuna mi è parsa decisamente esagerata, come quella eretta, non senza fatica, da Polifemo coadiuvato da altri tre Ciclopi sul Cornour, in Val Germanasca…Questa qui sulla Punta delle Guglie invece è molto più ragionevile nelle dimensioni. Quando è apparsa, proprio negli ultimi tre agognati metri di salita, m’è sembrato quasi fosse lì ad accoglierci, meritato premio alla nostra determinazione e fatica, come la medaglietta di latta che si da a chi ha partecipato ad una gara dopolavoristica o della proloco senza piazzarsi neppure nei primi venti, ma che poi si conserva con orgoglio e nostalgia nel cassetto e la si tira fuori ogni tanto per farla vedere a figli annoiati o nipoti assorbiti da ipnotici videogames. La croce porta incisi due nomi, probabilmente caduti in montagna, che i loro amici hanno voluto ricordare in questo modo, dando consistenza metallica, lucente e duratura nei secoli a una presenza corporea che la morte ha reso immateriale, sfuggente, discontinua nei giorni trascorsi, destinata ad affievolirsi e sparire.
Comunque, potendo decidere io, sceglierei che sulle cime delle montagne fossero eretti solo semplici ometti di pietra, costruiti bene però, con precisione e sapienza manuale antica, come piccoli nuraghe neolitiche, meno invadenti e più ecosostenibili del metallo, in modo che gli alpinisti-escursionisti che saliranno sulla cima dopo di noi possano sistemarci la loro pietra, mettere a posto quelle eventualmente cadute, mantenendo così il tumulo finché ci sarà qualcuno che salirà fin lassù, lasciando poi che il vento, la neve e il tempo facciano quel che devono.

http://youtu.be/WB6134BSork


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Commenti
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Autore Commento
muntagna
Inviato: 9/4/2014 8:05  Aggiornato: 9/4/2014 8:05
Guru
Iscritto: 27/10/2007
Da: Borgaro
Inviati: 2249
 Re: Appunti dalla punta delle Guglie
Complimenti, articolo molto bello, belle riflessioni in libertà, così come liberi si deve essere quando si va in montagna.
Mi è piaciuto anche il filmato, anche lui molto semplice e lineare, comprensibile e senza fastidiose musiche aggressive come sembra ora d'uso mettere nei filmati.

Autore Commento
vecchiomio
Inviato: 10/4/2014 12:00  Aggiornato: 10/4/2014 12:00
Guru
Iscritto: 30/10/2011
Da: Rosta (TO)
Inviati: 327
 Re: Appunti dalla punta delle Guglie
grazie per la lettura e l'apprezzamento. Scrivere mi serve a capire meglio le cose e se serve anche ad altri che leggono, ben venga! Ciao, Giampiero
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