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Varie : Aspetti di vita condovese
Autore: Beppe46 (Notizie dello stesso autore)
Notizia inviata il: 03/03/14 17:26
Notizia riferita al: 03/03/14
Letture: 1320

Aspetti di vita Condovese

Siamo a Condove, sul finire degli anni trenta del secolo scorso, e precisamente per le vie del commercio: “l’ala granda” la tettoia per il mercato dei coltivatori, la via Cesare Battisti, via degli Orti e la “piassa granda”, la grande piazza Vittorio Emanuele II oggi piazza Martiri della Libertà, stipate di popolo. Percorrendo i sentieri che conducono a valle, una moltitudine di persone scendeva dalla montagna il mercoledì, giorno di mercato, a vendere i prodotti agro-pastorali delle loro terre (tome, burro, patate, uova, castagne, segale, etc) e si univa ai contadini provenienti dai paesi vicini ed ai mediatori di ogni genere. La folla pigiava, si urtava, andava sgomitando; e cumuli di mercanzia di ogni genere e di ogni specie stava stesa al suolo come in una grande fiera. Si trovava di tutto “dle brajette, dij cotin, dij sòco, dle tomatiche, dle tome, del bur, dij polastr, dij colomb, dle quaje, dij arnèis ed cusin-a, dle tràpole per ij giari e tuta sort ed roba”. E la folla di donne, di serve, di contadini, estasiata, si muoveva lentamente, sostava davanti alle merci attratta anche dagli inviti dei venditori: “Ch’a ven-a avanti madamin, bela ròba a bon pat”, “Veul caté Monsù?”, “Ij pì bej e pì gross euv ch’i l’eve mai pijà”, “Le pì bele e bon-e trìfole ‘d Mòce”, “ Bele tòte vardé ij cotin”.
La visita al mercato, la vetrina più vasta del paese, era nelle abitudini di molti: chi andava per vendere, chi per comprare e chi per fare solo una passeggiata vagabonda. Attorno alla piazza e nelle vie adiacenti c’erano la farmacia, l’albergo del gallo, il caffè ristorante Nazionale, la Tampa e diversi botteghe “negòssi”: il tabacchino delle sorelle Della Valle, generi alimentari di Manelli, la cooperativa “la Cavagnera”, la merceria e, vicino al tabacchino, il chiosco dei giornali. “Ij maslé”, macellai erano due: Chiariglione e Bugnone, “el panaté” Votta Candido era vicino alla tettoia del mercato. L’Uffici postale era in piazza Bugnone.
I montanari, dopo aver terminato i loro negozi, con parte del ricavato si rifornivano di quanto loro occorreva per tutta la settimana. Nelle botteghe la vendita al minuto di prodotti alimentari e non, era prevalentemente al mattino e al pomeriggio; la sera era dedicata all’ordine del magazzino, aggiustare la merce nei cassoni, rifornimento degli scaffali incompleti di merce e per la pulizia del locale. Si vendeva ogni genere di cose, poco, ma di tutto.
Vendita di quantitativi minimi anche per i generi alimentari e di condimento: un etto di “euli ‘d grumele” olio di semi, mezz’etto di conserva di pomodoro, “doe anciove” acciughe per condire l’insalata, “la salada ‘d còj”,due dadi Liebig per fare il brodo, un etto e mezzo di “bombonin” (tipo di pastina per minestrine).
Erano tempi di magra per tutti, ma pochi nella montagna di Condove, Mocchie e Frassinere, sfuggivano alla dura condizione della vera povertà. Nelle botteghe di allora non era in uso, o erano rarissime, le confezioni di detersivi. Si vendevano soda e lisciva sfuse, bianca o gialla, pomice macinata, bottiglie di “conegrin-a”,candeggina, sapone di Marsiglia od altri tipi di sapone comune.
La pasta alimentare, il riso, la farina di polenta, si vendevano ad ettogrammi. Lo stesso dicasi per i legumi: “Faseuj” fagioli di ogni qualità, “lentìe”, ceci, “pois” piselli, fave secche e castagne. Le farine di grano, di ceci, di castagne si vendevano sfuse. Il caffè se ne vendeva poco sfuso ed esclusivamente da macinare; in alternativa c’era il pacchetto di cicoria come surrogato del caffè da mescolare alla poco polvere di caffè vero. E poi c’era il pacchetto di “olandese” per fare il caffè nero nella casseruola. C’era chi andava abitualmente a comprare ogni sera un quinto di litro di petrolio, oppure una candela stearica, del tipo corto, a volte un pezzo di “bambas”(stoppino da lanterna) da sostituire nel lume a petrolio.
La frutta secca la si vendeva per lo più sfusa a peso. “Bergne” prugne, “fi”fichi, “nos” noci, uva passa, pinoli, “màndole” mandorle, “ninsòle” nocciole, “bagigie ò giaponèise” arachidi tostate, qualche volta le arance “ij portugaj”. I generi erano moltissimi e di consumo notevole. Lo zucchero “sùcher” arrivava nei depositi in sacchi di tela di iuta da 50 chili ed era venduto sfuso nella classica carta da zucchero di colore blu. Questa carta veniva spesso riutilizzata per fare impacchi medicamentosi su varie parti del corpo. Anche i dolciumi non mancavano: caramelle, “berle ‘d rat ò boton da preive, zuchér d’òrdi” (zucchero d’orzo). Vicino alla porta, nella stagione giusta, si poteva trovare il mastello “sebber” pieno di “pom rusnent o pom an composta”, mele acidule, ma di buon sapore, appetitose. In bottega si vendevano candele di sego, allume di rocca, solfati di rame e tanti altri prodotti per le infinite bisogna della vita familiare e delle varie attività.
Non dimentichiamo che il droghiere in passato era un po’ “spessiari”, speziale ed erborista, quindi si poteva acquistare “canamia” camomilla, semi di anice, cannella, “ciò ‘d garòfo” chiodi di garofano, “pèiver”pepe nero e bianco, “amel”miele e tante erbe o spezie in uso in quel tempo. Oggi i prodotti sono confezionati in tanti modi, in pacchi, bustine, flaconi sotto nomi commerciali diversi, quelli che vengono reclamizzati sino alla noia sui giornali, dalla radio e dalla televisione; più niente viene venduto sfuso.
Prima del ritorno alle borgate il montanaro sostava “l’òsto dle a fior” all’osteria dei Fiori per farsi un “quartin” di quello buono e fumare “na sigala” in compagnia e qualche volta risalendo la mulattiera passava dal “fre” fabbro ad acquistare attrezzi per i lavori agricoli quali zappe, vanghe, falci, roncole, accette, etc.
Le condizioni di vita, già difficili sul finire degli anni trenta, con lo scoppio della guerra peggiorarono ulteriormente. Gli uomini validi partono per i vari fronti, a casa rimangono donne, vecchi, ragazzi e bambini. Le abitudini alimentari cambiano in applicazione delle leggi sul razionamento dei consumi, approvate il 6 maggio 1940; la distribuzione dei generi alimentari di più largo consumo è effettuata esclusivamente attraverso la carta annonaria. Ben presto per tutti arriverà la “tessera”, un cartoncino grigio, con un numero, il nome e tanti piccoli tagliandi a ognuno dei quali corrisponde una certa quantità di riso, olio, burro, zucchero.

Di Gianni Cordola del Coindo di Lajetto


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