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SciAlpinismo : Appunti dalla Costiera dell' Uja
Autore: vecchiomio (Notizie dello stesso autore)
Notizia inviata il: 20/05/13 23:00
Notizia riferita al: 20/05/13
Letture: 1490

Libertà e menischi
Ci sfiora a volte la sensazione di non essere completamente liberi: sarà anche per questo che si sale sulle montagne senza un valido motivo. Sia come sia, Toni ed io ci siamo presi questo mercoledì di ferie di metà maggio, per venire fin quassù, sulla Costiera dell' Uja, pulpito naturale straordinario al fondo della Valle del' Orco, o di Cresole Reale che dir si voglia. Si trova proprio al centro della corona di montagne che chiude la testata della valle e che fa da confine tra i Parchi nazionali del Gran Paradiso e della Vanoise. Abbiamo fatto bene a dar retta al meteo France: diceva beau temp, mentre Mercalli stava su un più sabaudo e prudente "variabile con possibile nuvolosità pomeridiana". Adesso le abbiamo tutte qui di fronte, in fila, a perdita d'occhio, le cime del versante piemontese del Gran Paradiso: da destra il Courmaon, La Cima Fouraz, la Punta Violetta, La Becca di Monciair, il Ciarforon, il Granpa, il Teu Blanc, La Basei (Toni dice di esserci salito 25 volte ma io non ci credo, vuole solo darsi delle arie!), la Galisia, il Carro...non finiscono più, come i rotoloni Regina. A mettere insieme quelle salite da me e da lui nel corso di due vite, ne rimangono poche, qui intorno, ancora da esplorare. D' altra parte Toni ha iniziato quando aveva i capelli fluenti alla moda dei tempi andati e tutti e due ignoravamo i piaceri di calli ed emorroidi ed eravamo dotati, senza saperlo, di menischi ammortizzati, oggetti che rimpiangi quando non li hai più.

Achab
Ora siamo abbastanza vecchi per aver imparato che la vita non è qui, non tutta almeno, perché, come disse stupito e fradicio nella tempesta il capitano Achab di Melville rivolto a Starbuck, più o meno a pagina 700 di quel misterioso libro, quasi alla fine della sua accanita e insana ricerca cinquantennale della Balena bianca: "...guardar dentro a un occhio umano è meglio che fissare il mare o il cielo, meglio che contemplare Dio."

Ossimori
Ma la riflessione di Achab non impedisce a me e Toni di apprezzare nella giusta misura questa giornata di sole splendente e di brezza primaverile che asciuga la maglietta fradicia, seduti sulle roccette asciutte, quasi comode e quasi tiepide dell' intaglio a 2710 m. della Costiera, specie di trono povero, però antico di forse centomila anni. Da qui, tra un po', dopo aver mangiato e bevuto qualcosa, scenderemo sull'altro versante, nel bacino di Nel, dove il vallone risale poco ripido fino all'omonimo ed esangue ghiacciaio, ai piedi della Levanna occidentale e dell' Aiguille Percée (spalla insignificante della Levanna, ma a cui qualche cartografo ha deciso di dare un nome e lì io ci sono stato qualche lustro fa, e Toni no!). Sentiamo quell' euforia leggera delle giornate di montagna perfette, in cui tutto va come deve, ma rimaniamo sempre all'erta, come si conviene sull' alpe. Forse a causa dell'aria sottile o dell' iperventilazione, siamo in una specie di ...calma esaltazione, di narcosi vigile...(saranno questi degli ossimori? Bastasse ciò a fare uno scrittore!)

Fuori registro
Per essere al colle alle dieci del mattino in modo da poter scendere su una neve non del tutto sfatta,in questa stagione bisogna partire presto da casa: diciamo che alle cinque bisogna aver avviato il motore dell'auto. A maggio alle cinque fa quasi chiaro e in un giorno feriale la tangenziale è già percorsa da auto, furgoni e tir, e alla guida c'è gente che lavora naturalmente (e questi sono i fortunati ormai), come pure il benzinaio, anche lui baciato dalla fortuna, che avrebbe di gran lunga preferito continuare a starsene a letto invece di farmi il pieno...la tangenziale si impegna a fondo nel buttarti addosso immeritati sensi di colpa, anche quando stai usufruendo di un unico, regolare, giorno di ferie. Arriva, ogni volta, quella sensazione oscillante tra il senso di colpa, l' euforia per la piccola libertà e il sentirsi fuori registro rispetto alla linea della normalità sulla quale si accalca il genere umano.
E' capitato così tutte volte che con gli sci infilati di sbieco dentro l'auto (da anni li fanno corti, così ci stanno anche dentro ad un' utilitaria), le pelli adesive già incollate alle solette (messe la sera prima per non prendere freddo alle mani al mattino) con cieli stellati o lividi, i fari dell' auto hanno illuminato l'asfalto bagnato di rugiada oleosa della tangenziale. E' l'unico caso in cui metto la musica ad alto volume, scappando in fretta da quella terra di mezzo che è la tangenziale, verso la più umana e ancora deserta strada provinciale, che poi diventa strada stretta e tortuosa di montagna, fino a qualche piazzale sterrato e fangoso da cui parte, a volte, un sentiero, o una traccia, o spesso solo la proiezione di un' idea, verso un punto più in alto, da qualche parte, nominato sulla carta topografica, dapprima immaginato e poi destinato a diventare paesaggio reale, però impossibile da contenere in un unico sguardo, perché l'angolo del campo visivo non è di 360° (il mio poi, neppure 130, credo). Luogo di transito tra il salire e il scendere e un istante dopo, ricordo: la fotografia, per quanto ad alta definizione, non sarà mai del tutto fedele, avrà sempre qualcosa in più e qualcosa in meno di come l'hai percepita.

Tutto è relativo
Il contesto spesso modifica la scala di valori che credevamo fissi. Ad esempio a proposito dei sapori di cibi e bevande: dipende non solo dai gusti personali, ma dal tuo livello di sete e di appetito. Lo capisci inequivocabilmente quando, come adesso, ti gusti un' arancia con la necessità di rimettere in circolo un po' di liquidi e di zuccheri e sali...tutti gli effluvi ed i sapori zuccherini della Sicilia ( o saranno della Spagna? comunque mediterranei...e se venissero invece dal Sudafrica?) effondono sulle papille del palato e colano ristoratori nella gola e pensi che le arance non si dovrebbero davvero, mai, schiacciare con le ruspe, perché in giro per il mondo c'è un sacco di gente che le apprezzerebbe come te adesso e persino, difficile da credersi, di più.

Direzioni e carte
Per avere i riferimenti giusti ci vuole la "cartina" (così chiamata comunemente, intendendosi la carta topografica, non quella al tornasole o quella con cui ci si arrotola la cicca). La cartina è la fedele compagna di chi va per montagne: noi ci vediamo cose che gli altri umani confondono con macchie colorate, linee astratte e tavole di Roschart. A volte le guardiamo prima, a casa, per decine e decine di minuti e oltre, e se qualcuno guarda noi che guardiamo la cartina, nasce in lui il sospetto d'aver a che fare con un alieno. La cartina consente di scegliere la direzione: non solo i classici Nord, Ovest, Sud ed Est, ma pure i quadranti intermedi, come il bellissimo sud-sud-est, ad esempio, ed altri angoli infiniti che non sono definiti da un nome, ma solo da un numero espresso in gradi, come per i naviganti. In realtà noi montanari, a differenza dei cugini navigatori, abbiamo i rilievi come riferimento evidente e quindi procediamo quasi sempre ad occhio, valutando il percorso che sembra più sicuro, redditizio e logico e usiamo la carta per leggere i nomi delle cime e dei colli: come direzione interiore teniamo immancabilmente quella ostinata e contraria. La moderna tecnologia comunque e soprattutto la presbiopia, rendono quasi inutili le cartine.

Spazio e tempo
Ci piace troppo l' isolamento temporaneo in un altrove dai confini indefiniti in cui transitiamo per poche ore, conquistato con determinazione ma con relativa facilità, nonostante la sfilza di anni che in salita ci pesa un po' sulle code degli sci. Il tempo in salita ci scorre addosso lento, quello in discesa (con gli sci) più veloce: dev' essere solo una sensazione, rientrante nella questione della relatività legata al contesto di cui s'è detto sopra. Einstein sarebbe d'accordo e da par suo ha dimostrato che in qualche caso non è un' illusione.

Ridefinire la meta
L’ idea originaria era di scendere sul versante W della Costiera, dove prima del cambiamento climatico degli ultimi settant’anni si estendeva il ghiacciaio di Nel, nel bacino delle Levanne, ora nevaio fino a giugno e poi pietraia per tre mesi. Da lì si può scendere a Chiapili di sopra, appena prima del parcheggio da cui siamo partiti. E infatti tolte le pelli dagli sci inanelliamo le prime curve sulla neve del canale, fin troppo cotta da tre ore di sole. Ma a metà pendio lo sguardo mai sazio dello scialpinista non può distogliersi dal vallone che sale, con pendii intonsi, regolari e vellutati, lenzuola di Titano, fin sotto le pareti Nord delle Levanne. Così rimettiamo le pelli e saliamo in quella direzione, fiancheggiando le rocce rossastre della Costiera, diretti alla bastionata delle Levanne, verticale ed inaccessibile da questo lato, nei pressi della quale ci fermeremo. In un’ ora, per pendii e ondulazioni regolari arriviamo al punto più alto raggiungibile con gli sci, a tremila metri circa, rimanendo a distanza di sicurezza dalla parete, che ogni tanto ci parla, scaricando piccole colate di neve recente e qualche pietra. In questo posto non ci viene molta gente, dopo le esplorazioni alpinistiche di fine ottocento-primi del novecento: non i camosci che stanno dove trovano un po’ d’erba; non gli alpinisti, attratti da rocce più solide e neppure gli scialpinisti, perché non c’è una “cima” da conquistare. Per la verità sappiamo di un canavesano che da solo, d’inverno, lascia spesso la sua traccia solitaria a serpentina nella neve polverosa di questo versante. Durante la sosta estraggo il mio nuovo giocattolo, la videocamera da montare sul casco, per documentare luoghi e momenti: il filmato non sarà gran che, ci vorrebbe un cavalletto e un regista, ma il cavalletto pesa e di registi qui non ce n’ è.

Mari e monti
Noi liguri abbiamo una radice nel Mediterraneo e l'altra nelle Alpi. Siamo arrivati dagli altipiani dell'Anatolia pare, e abbiamo conosciuto le valli alpine molto prima della pianura e solo in età più recente il mare e i pesci. Le cime che preferiamo sono quelle da cui si vede il mare.

Si torna
Anziché continuare la discesa nel vallone di Nel, ormai troppo scaldato dal sole, decidiamo di rimettere le pelli per la terza volta in modo da tornare sul versante di salita, esposto a N, dove la neve si sarà conservata più compatta: ed infatti è così. Sarà una discesa memorabile fino al torrente, a 1700 metri di quota. Per voler sfruttare le ultime lingue di neve in basso, ci fumiamo il ponte che un chilometro più a monte immetteva sulla strada. Non ci restano che due possibilità: guadare il torrente in un punto favorevole o proseguire lungo la riva per saliscendi pietrosi fino al ponticello successivo. Toni prosegue, io scelgo il guado: la mia radice marina che ha più confidenza con l'acqua mi da sicurezza. L' acqua arriva con forza ad una spanna sopra il ginocchio, alla tasca dei calzoni, ma la patente per fortuna è impermeabile.
Toni impiega più tempo e fatica, ma il suo raffreddore e la tosse se ne sono andati, lasciando il posto ad un più sano mal di gambe.

Infine
Infine c'è sempre una birra ambrata che pare meglio del solito. Oggi, davanti al bar del rifugio Alpinisti Chivassesi di Chiapili, accoglienti come sirene, anche due sdraio.
__________________
Altre note e racconti su FB (in "Note") e sul volume:
Giampiero Assandri. Saldi di fine secolo. L'Autore Libri Firenze, 2011. Acquistabile dalle librerie on line o dall'autore.
http://www.inmondadori.it/Saldi-di-fine-secolo-Giampiero-Assandri/eai978885172312/

Videocostiera dell' Uja e oltre


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