Avevo quattordici anni e mezzo,allora per la maggior parte dei figli degli operai era l’età cui si doveva incominciare ad aiutare i genitori a “portare qualcosa a casa” si poteva cominciare a lavorare con il” libretto a posto”,finita la scuola dell’obbligo si andava ad imparare un mestiere... Il mio sogno era di fare il falegname e quell’estate fui assunto come apprendista,facevo il”bocia”intarsiatore in una delle tante “boite” di Saluzzo. Mio papà per il mio onomastico mi aveva appena comperato una bici sportiva,una Legnano rossa fiammante,con tre cambi,uno da pianura,uno da salita e l’altro da discesa. Quel sabato pomeriggio mi recai al lavoro con il mio nuovo velocipede. Allora il sabato si lavorava tutto il giorno ,però si usciva alle sei,anziché alle sette, se malauguratamente si chiedeva di rimanere a casa mezza giornata,a furor di popolo eravamo accusati di voler fare il sabato fascista,in quegl’anni era ancora vivo il ricordo delle ferite inferte da quel regime,quindi il popolo non voleva vedere nulla che potesse ricordarglielo.
Come dicevo...in quel pomeriggio in quella “boita” in un momento di assenza del “padrone”,io “blagavo”dicendo ai miei compagni di lavoro che con quella bici nuova sarei andato e venuto al mare in giornata. Si il mare!il mare io l’avevo già visto, ma solo al cinema o in cartolina,mai dal vero! I miei compagni mi sfottevano dicendo che non ci sarei mai riuscito... Nel bel mezzo della discussione entrò il “padrone”, egli aveva udito tutto,ma...fortunatamente era appassionato di ciclismo, era tifoso di Ercole Baldini,allora campione del mondo, mi disse:se domani riesci andare e ritornare dal mare, lunedì io ti aumenterò la paga di cento lire a settimana!Io che ne “guadagnavo” solo seicento ,(cento lire a giornata) era un bel balzo in’avanti. Feci un rapido calcolo; in casa ne davo cinquecento, cento lire erano per me, doveva uscirmi il cinema in platea popolare,se non dicevo nulla dell’aumento ai miei,avrei potuto andare ben due volte a settimana al cinema,oppure una volta al cinema e sorbirmi quattro gelati da 25 lire dal bar Gino, fantastico!
Fu così che alle due della domenica mattina,furtivamente uscii di casa fiducioso che i genitori dormissero fino a tarda ora. E...sacca da ginnastica a tracolla,pila legata al manubrio,attraversai la città addormentata. La notte era senza luna mi infilai nel rettilineo che va a Savigliano,sembrava un pozzo nero,dodici km interminabili. Mi ero messo un ritmo di trenta all’ora che naturalmente non tenni,pedalavo e fantasticavo. Pensavo...finalmente potrò vedere la differenza che c’è da stare a galla,tra il mare e “a Po”. In quel tempo,si andava a balneare al fiume che scorreva pochi km dalla città. La domenica, tutta Saluzzo invadeva i ghiaioni lambiti dalle fresche acque del “Po bambino”. Ci si portava pranzo e merenda decine e decine di biciclette venivano parcheggiate all’ombra dei cespugli. Poi c’era chi dava prova delle proprie capacità natatorie con tuffi e piroette nell’acqua, inoltre un’esigua minoranza si vantava di essere stata al mare magnificando la facilità in cui si rimaneva a galla nelle sue acque. Io mentre sguazzavo, ascoltavo e” bevevo”tutto quello che raccontavano quei “privilegiati”. Intanto all’ombra dei pioppi intere famiglie si godevano la frescura,giocando a carte o a bocce,mentre un’ambulante con il triciclo faceva affari vendendo gelati.
Come da tabella, in mezz’ora arrivai a Savigliano,da qui in poi non ero più solo,era ancora notte, ma dalla strada che arrivava da Torino cominciarono a sorpassarmi le prime auto,erano gli anni del “boom economico”stava iniziano l’esodo domenicale,erano quasi tutte “seicento”, tutti andavano al mare. Con i loro fari potevo vedere meglio la strada poiché la batteria stava “morendo”Ero sulla statale che andava verso Savona ,la strada che porta al mare! Pedalavo, pedalavo,sempre più auto mi sorpassavano ormai era un’interminabile colonna,nei punti di ingorgo ad un certo punto ero io a sorpassare loro!mi sentivo forte! A Fossano cominciava ad albeggiare,poi i primi sali scendi..”,la Ternità,San Giuan dii Pruca,Maijan” e alla destra il Bainal,...luoghi a me noti dove passavo le vacanze estive dagli zii. A Mondovì vidi il cartello “Savona 78 km!” è fatta! pensai,ma incominciava proprio ora fa fatica. Salite e discese fino a Ceva che tagliavano le gambe, un traffico sempre più caotico, ma di lì a poco questo fiume d’auto sarebbe “saltato” sull’autostrada,si!perché allora c’era la “Ceva Savona”e io avrei avuto strada libera!
Passato l’abitato di Priero incominciò la vera salita al Montezemolo,ad ogni curva c’era una scritta inneggiando a Coppi,ciò mi galvanizzava,e uno scatto dietro l’altro per quella strada deserta arrivai sul colle con il sole in fronte. Solo più da scendere pensai,come mi sbagliai!... Mi buttai giù per la discesa,dopo un pò vidi il cartello con scritto Liguria!
Fantastico! in un’ attimo fui a Millesimo, io che mi aspettavo molto semplicemente che la discesa portasse fino al mare dovetti fare i conti con gli strappi di Carcare ed Altare,ma finalmente arrivò il colle di Gadibona che dopo due brevi gallerie, solo più 14 km di discesa, poi...il mare!anzi “la marina” come lo chiamavano da quelle parti.
Entrai trionfante in Savona su un lungo viale alberato, vidi l’indicazione “spiaggia” era fatta!mi chiesi come si fossero chiamati gli abitanti di Savona,”savonette” pensai...Una stradina lungo un torrente in secca lasciava intravedere la foce e poi l’azzurro marino che si confondeva con l’azzurro infinito del cielo. In breve fui alla spiaggia,saltai giù dalla bici la chiusi a lucchetto contro una panchina, giù di corsa per la scalinata fino sulla spiaggia,che pensavo sabbiosa,invece era tutta a sassi come in riva al Po. Una piccola delusione...Va beh!ormai il mare era lì a pochi metri,mi svestii in fretta, rimasi in mutande,di costume da bagno allora non se ne parlava...,corsi ad immergermi tra i flutti, provai se mi tenevo a galla meglio che nel Po, ma bevvi lo stesso,mamma mia com’era cattiva quest’acqua, molto meglio quella del Po! Decisi di uscire da mollo,delle ragazzine vedendomi venir fuori dalle onde in mutante ridevano come sceme, io arrossii, elle mi chiesero da dove venivo perché non mi avevano mai visto,io vergognoso,non osai dire.. Saluzzo!, dissi loro, Carcare!,cioè il primo paese vicino che mi venne in mente, poi me la filai...mentre sentii una di loro dire”a Carcare son tuci belin!” Raggiunsi la mia Legnano rossa, mi sedetti su una panchina, mangiai,mi ricordo ancora,pane gorgonzola e maionese Calvè, che mi si ripropose per tutto il ritorno...
Ero contento di aver visto il mare ma ero solo a metà strada perché prima di notte dovevo essere a casa,per fortuna l’incoscienza della giovinezza mi fu amica, non mi resi conto della fatica che mi aspettava per ritornare ,ma prima di partire avevo ancora una cosa molto importante da fare,cioè spedire una cartolina al mio “padrone” per notificare il successo dell’ “impresa”. Ricordo che scrissi”a l’ha vist ca l’ai faila!”e la spedii.
Mi difesi a salire il Cadibona, sopravissi anche nei sali scendi fino a Millesimo,ma il Montezemolo,ahimè non finiva più, tutte le fontane erano mie,ricordo che,sfinito, entrai in un bar dove consumai una bibita,raccontai il mio viaggio alla padrona,ella che era un donnone tipo “la tabaccaia di Amarcord di Fellini” mi prese la testa tra le braccia mi accarezzò i capelli poi mi disse”povre figieù!” e mi offrì la consumazione. Eccitato da quell’inaspettato contatto raggiunsi il colle con le ali ai pedali ,poi da lì in giù la strada era tutta in discesa,si!..c’era qualche sali e scendi fino a Mondovì,dove mi accodai a due corridori della Gazzola che si allenavano,poi sempre più nel traffico,c’era il rientro,arrivai a Savigliano. Oramai solo più lunghissimi dodici km di rettilineo mi separavano da concludere la fatica,avevo nelle gambe circa 260 km senza allenamento,il sole stava tramontando dietro al Monviso, riuscii arrivare a casa,per così dire...in tempo. Stendo un velo pietoso sull’accoglienza che mi fecero i genitori... Il mattino seguente mi presentai al lavoro per le sette, ero tutto anchilosato, mi muovevo a scatti come un robot, mi vantai dell’impresa con il mio “padrone”,egli si complimentò, poi di lì a poco dopo arrivò con un rotolone di carta in mano dicendomi”portami questo disegno al mio collega di Savigliano...mi raccomando fai in fretta, pedala!... Gasp!!!
Quell’anno andai e venni ancora un paio di volti al mare in giornata,una volta fu fino ad Arezzano,volevo vedere Genova,ma mi resi conto che era troppo per me, e un’altra fino ad Alassio passando per il san Bernardino...L’anno seguente fui “ingaggiato”nella categoria esordienti nella Fossanese,ma...non ebbi successo,durante le gare non sapevo pedalare nel gruppo,andavo in qua e in la facendo cadere che era dietro di me. Poi non avevo lo spirito agonistico,se qualcuno forava,anche se di un’altra squadra,mi fermavo per aiutarlo cambiare il tubolare scatenando le ire del “patron”. Un giorno in una gara dalle parti di Pino Torinese,sbagliai strada e vagai senza meta per quelle colline .Alla fine quando giunsi al traguardo che era ormai sera,vidi due signori su una scala che stavano tirando giù lo striscione dell’arrivo... fu allora che decisi di smettere...di correre in bici. Ma...non di correre...