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Escursionismo : Giulie Occidentali 16-17-18 agosto 2009
Autore: PManenti (Notizie dello stesso autore)
Notizia inviata il: 23/08/09 14:01
Notizia riferita al: 23/08/09
Letture: 2439

Julius Kugy, il più appassionato cantore delle Giulie, quel signore paffuto che vediamo nelle vecchie fotografie, il loden aperto sul panciotto e lo sguardo trasognato, rappresenta lo stimolo per un nuovo viaggio. I suoi passi garbati che calcano le montagne ci raccontano di una tensione ideale in un misto di felicità e malinconia: “Così me ne stavo sopra gli abissi immensi, quasi sciolto da questa terra, in mezzo al cielo luminoso, sull’isoletta bianca della mia cima e vissi un’ora di felicità che non ritornerà mai più”. Camminando tra le Giulie, quello stesso sentimento, pur effimero, come sempre del resto è la felicità, può tornare ancora. Il modo migliore per assaporare il respiro della natura nelle Giulie Occidentali è senz’altro quello di immergersi per più giorni tra queste valli, osservando i colori del tramonto comodamente seduti sul terrazzo di un rifugio, camminando nell’aria fresca alle prime luci dell’alba e, a volte, cedendo il passo all’invadente stambecco. Senza però avere mai fretta di arrivare. Ed è proprio in quest’ottica che abbiamo compiuto il periplo dei gruppi Montasio – Jof Fuart, un itinerario ideale per l’escursionismo delle lunghe camminate e delle difficoltà tecniche contenute, fatta eccezione per la via Amalia al Montasio, salita grandiosa che senza l’esperienza di Massimo, un torinese anch’egli in viaggio tra le Giulie, non avrei mai potuto salire.
Dal punto di vista geologico le Alpi Giulie sono formate a rocce d’origine sedimentaria sviluppatesi in ambiente marino durante il mesozoico. Si tratta principalmente di calcari e dolomie. A mano a mano che ci si sposta verso est, in direzione delle Giulie Orientali, la dolomia principale viene sostituita da rocce calcaree, facilmente riconoscibili per il colore argentato e l’evidente stratificazione in banchi. Nelle Giulie Occidentali tali calcari si sono sovrapposti alla dolomia dando origine alla catena del Canin. L’aspetto maestoso e compatto delle rocce, visto da lontano, può ingannare, in realtà spesso la roccia è molto instabile e come dice Cristiano, il gestore del rifugio Corsi, ”qui sulle Giulie anche le pietre più grosse si muovono”.
“Uno dei massicci più belli e imponenti delle Alpi Giulie”, così Julius Kugy defini lo Jof Fuart. Alta 2.666 metri, questa montagna ha una “doppia cima” le cui due estremità hanno un’altezza che differisce solo leggermente (quella nord-est è poco più alta). Durante la Grande Guerra le due vette furono collegate tra loro da un sentiero, tuttora presente, che consentiva di spostarsi da un capo all’altro in pochi minuti. Il toponimo Jot Fuart è di origine friulana e significa “giogo forte”. Per gli sloveni questa montagna è il Vis, che rappresenta la contrazione dell’antico nome, Visnja Gora, ovvero “Cima Alta”. L’itinerario di salita al Montasio, la via Normale, fu individuata già nel 1881 dal conte Brazzà attraverso il versante sud ovvero quello dell’altopiano. Nel nostro viaggio abbiamo percorso questo itinerario in discesa riservandoci invece la salita attraverso la Via Amalia, percorso articolato e profondo tra le viscere delle pareti settentrionali, in completo isolamento, arrampicando tra camini oscuri, spesso gelidi e in parte con saliscendi tra prati ripidissimi e banchi di roccia insidiosi e cosparsi da un temibile ghiaino. Le ferrate e le risalite alpinistiche dei gruppi Jof Fuart – Montasio celano sempre qualche insidia: bisogna porre costantemente attenzione a come ci si muove e saggiare ogni appiglio e ogni appoggio prima di farvi completamente affidamento. Questo vale anche per i brevi tratti attrezzati di altre vie, come la scala Pipan sulla Via Normale al Montasio o l’ultimo tratto della stretta forcella di Rifreddo, valico di collegamento tra i rifugi Corsi e Pellarini.


1a tappa – Dal rifugio Brazzà al rifugio Corsi

Partito da Torino alle 4:30. Appuntamento a Verona alle ore 7:30 con Aldo che arriva da Trento, sincronismo perfetto. Proseguiamo con due auto lasciandone una in Val Dogna, alla Sella di Somdogna, e l’altra sopra Sella Nevea. La seconda auto potrà essere utile nel caso in cui non riuscissimo a chiudere l’anello delle Giulie a piedi. Alle ore 13:00, dalle Malghe di Montasio (1.550 mt) iniziamo a percorrere il sentiero 624 che attraversa tutto il versante meridionale del gruppo, lungo prati e alpeggi. C’è il sole, fa molto caldo. Camminiamo per comodi sentieri entrando lentamente nel regno dello Jof Fuart. L’itinerario presenta un discreto sviluppo, ma il dislivello contenuto rende questa gita piacevole e non faticosa. Alla nostra destra lo spettacolare anfiteatro del Canin. Superiamo il ricovero Casera Cragnédul e finalmente prendiamo quota verso il Passo degli Scalini (2.022 mt), ottimo punto di osservazione della Cima Alta di Riobianco, Vallone e Riofreddo. Intanto il tempo si è fatto nuvoloso ma non minaccia pioggia. Il verde intenso dei prati e dei boschi di Montasio lascia il posto al grigiore delle rocce. Giù in fondo al vallone si vede una casetta bianca con le finestre rosse, è il rifugio Corsi (1.874 mt). Lo raggiungiamo verso le 16:00 passando sotto il Campanile di Villaco dove alcuni ragazzi stanno arrampicando. Il rifugio è gestito da Cristiano, triestino, con lui c’è la moglie ungherese, il figlio Pietro e la sorellina Teresa, altre persone, sempre ungheresi, aiutano nella gestione. Sulle panche all’esterno dell’edificio sfumature di accenti giuliani si mescolano al dialetto friulano, mentre un gruppo di austriaci sorseggia birra. La gestione del rifugio è alla buona. Alcuni cartelli ricordano frasi celebri di Julius Kugy “ nessuna preghiera, nessun credo rendono più devoto l’uomo quanto la solitudine di un bosco che stormisce al vento o la libera vicinanza del cielo sulle vette dei monti”. Durante la cena, Cristiano passa tra i tavoli dei suoi ospiti chiedendo da dove veniamo e l’itinerario che faremo domani. Quando gli dico che vengo da Torino mi dice che non siamo i soli, ci sono altre due persone, Massimo e Cristina che invita ad unirsi al nostro tavolo. Anche loro, come noi, desiderano conoscere le Giulie. Massimo è istruttore alla “Gervasutti” di Torino, la sua esperienza ci sarà utile come pure la sua inseparabile Guida ai Monti d’Italia del Buscaini. Il nostro itinerario di domani prevedeva la salita alla Forcella del Vallone e del Riobianco attraverso il sentiero Puppis ma Cristiano, con un’insistenza quasi fastidiosa, ci convince ad optare per la salita allo Jof Fuart ed il passaggio attraverso la Forcella di Rifreddo, a suo avviso più interessante e meglio attrezzata.


2a tappa – Dal rifugio Corsi al rifugio Pellarini

Sveglia ore 5:30. Colazione e partenza alle ore 6:30. Cristiano ci dà altri consigli. La giornata è bellissima. Di fronte a noi, in sequenza, ci sono lo Jof Fuart, la Madre dei Camosci, la cima di Rifreddo e quella del Vallone. Un ultimo saluto e con Aldo ci incamminiamo nella conca dove diversi camosci si muovono lentamente tra zolle d’erba e roccette. Gli ungulati vengono ad abbeverarsi qui alla sorgente. Ormai sono come le capre domestiche, si fanno avvicinare fino a pochi metri. Risaliamo il vallone per la Forcella Mosè raggiungendola in meno di un’ora. Certo che ce ne vuole di fantasia per assimilare l’obelisco che sovrasta la forcella al Mosè realizzato da Michelangelo per il monumento funerario di papa Giulio II a Roma ! Nell’ottocento questo era un passaggio molto utilizzato, specie dai cacciatori, per collegare la Val Rio del Lago alla Val Sàisera. Qui incontriamo Massimo e Cristina partiti poco prima di noi ed insieme proseguiamo per la via attrezzata Anita Goitan fino ad incontrare il sentiero che sale diretto dal rifugio Corsi. Qui è meglio muoversi cauti, poggiando mani e piedi nei punti giusti. Sulla destra si spalancano quinte di roccia, mentre sopra appare la parte culminante, una cupola deserta di ghiaie grigie. Da qui si arriva sulla cima del Fuart, dove si può godere uno dei panorami più strategici delle Giulie Occidentali. Sulla vetta ci sono pernici ed ungulati, tantissimi, che si stagliano sulle zolle erbose della cresta tra il Fuart e la Madre dei Camosci in bilico sugli abissi. Qui ci separiamo da Massimo e Cristina che proseguiranno per la via Anita Goitan mentre io e Aldo discendiamo per la via Normale, ci ritroveremo tra qualche ora nel vallone di Riofreddo. Seguendo la cengia erbosa, segnavia 727, raggiungiamo la Forcella di Rifreddo il cui ultimo tratto, una strettissima cengia rocciosa è attrezzata con corde fisse. Per noi che non siamo esperti alpinisti, i passaggi non sono banali. Finalmente siamo alla Forcella, fredda, buia, pendenze notevoli sia dietro che davanti, insomma decisamente un brutto posto. Cristiano aveva detto che il passaggio non era semplice. Per un attimo i nostri animi sono gelati, non ci sentivamo sicuri di dove fossimo, eravamo preoccupati della condizione del vallone in discesa verso il Canizza, grandi pendenze e grossi massi che non chiedevano altro che di essere toccati per rotolare in basso, sfasciume instabile ovunque. In qualche modo ho cercato di nascondere la mia preoccupazione ad Aldo che già cominciava ad essere stanco. Ci siamo mossi in discesa quasi subito, io davanti ed Aldo dietro. Nessuna corda fissa, nessuna traccia di sentiero, la via era comunque obbligata, bisognava solo scendere. Con molta pazienza, passo dopo passo, scivolone dopo scivolone, ci siamo tolti da quella brutta situazione. Scendendo, ogni tanto udivamo delle urla, ma non vedevo ne persone ne animali. Poi finalmente, lassù in alto sulla Forcella, intravediamo una maglia gialla, sono due persone, sono Massimo e Cristina, ora mi è chiaro da dove venivano quelle urla. Più tardi, al rifugio Pellarini, Cristima mi dirà che è stata un’esperienza “orribile”. Giunti in fondo al vallone, proseguiamo per il segnavia 618 che risale la Sella Canizza. Aldo è ormai alla frutta, senza forze, sguardo perso, non fa più fotografie, continua a chiedermi quando manca per arrivare al Pellarini. Finalmente siamo alla Sella Canizza, ora è tutta in discesa, ancora un’ora e siamo al Rifugio Pellarini, sono le 15:30, un’ora dopo arriveranno anche Massimo e Cristina. Aldo guadagna la prima panca che trova, in mezzo agli ospiti del rifugio, si toglie le scarpe e chiude gli occhi. Il rifugio Pellarini è posto esattamente sul versante opposto del rifugio Corsi, al margine inferiore della Carnizza di Camporossonel nel gruppo dello Jof Fuart, un selvaggio circo di sfasciumi (come il nome locale “carnizza”, cioè “vallone ghiaioso chiuso tra rocce” indica) circondato dalle incombenti cinque elevazioni delle Cime delle Rondini, delle quattro delle Cime Vergini e dalle imponenti pareti settentrionali delle Madri dei Camoscie dello Jof Fuart. Guardando invece verso nord c’è la verdissima Val Bruna percorsa dal torrente Sàisera che, più che un torrente, da lontano sembra un serpente. Il rifugio è molto confortevole, pulito, abbiamo anche il privilegio di fare una doccia. Ci accoglie Ricardo, un ragazzo brasiliano che fa lo stagionale al rifugio. Oggi ci sono stati molti ospiti, il pane è finito, ma Ricardo provvede preparandone uno fatto in casa tutto per noi, ancora caldo, buonissimo. Per cena ordino il “frico”, un piatto tipico friulano, che mi viene servito con della polenta. Il “frico” si prepara con del formaggio fresco fatto rosolare a fettine in padella con olio o burro fino a consistenza croccante, le varianti suggeriscono sfumature con aromi di cipolla e accoppiamenti con patate o mele che vengono soffritti a fettine ed amalgamati col formaggio fino alla consistenza voluta. Dopo una piccola discussione sull’ora della colazione di domani, il gestore del rifugio non ha molta voglia di alzarsi presto, probabilmente è più abituato ad una gestione per il turista piuttosto che per l’escursionista, concordiamo per le 6:30.


3a tappa – dal rifugio Pellarini al rifugio Brazzà (via Amalia al Montasio)

Sveglia ore 6:00. Colazione grandiosa preparata da Ricardo e partenza alle ore 7:00. Ci uniamo a Massimo e Cristina che fanno lo stesso itinerario. Dal rifugio Pellarini (1.499 mt) scendiamo brevemente nella Canizza di Rio Zapraha e procediamo lungo il segnavia 616 che, in un ora, sale all’evidente Sella Nabois (1.970 mt), il sole è già su di noi, il vallone è esposto ad est ed è caldissimo. Giunti alla Sella si apre una spettacolare vista sul Montasio. Qui inizia il tratto impegnativo del Sentiero Chersi, per fortuna tutto in ombra, al fresco. Il Sentiero Chersi è un concatenarsi di cenge e rampe che attraversano il fianco nord-ovest dello Jof Fuart. Il catino pensile denominato Studence è in parte occupato da un nevaio perenne che sorprende per ampiezza pur essendo incastrato a metà parete. Dopo un punto panoramico e un’ultima rampa che percorriamo in discesa, raggiungiamo il grande circo detritico del Vallone dell’Alta Spragna. Qui Cristina scivola e cade malamente su una pietra procurandosi una ferita sul braccio sinistro ma stoicamente riprende subito il cammino. Ogni tanto Massimo mi avvicina e mi dice “bisogna tirare un po’ altrimenti non ce la facciamo a fare la via Amalia”. Seguo il suo suggerimento, rimandiamo la sosta e continuiamo la discesa passando poco sotto il Bivacco Mazzeni (1.630 mt), più avanti c’è un bellissimo terrazzo di fronte ad una cascata, le Giulie non finiscono mai di stupire! Volgendo a destra raggiungiamo i macereti della Bassa Spragna. Mantenendoci sul fianco sinistro, prima con una breve risalita, poi in discesa, raggiungiamo il bivio con il sentiero n.611 per il Bivacco Stuparich (1.587 mt). Aldo comincia a dare evidenti segnali di stanchezza, gli scarponi fanno male e li toglie, anche Cristina è stanca, ci fermiamo per mangiare qualcosa. Sono le 12, riprendiamo la marcia attraversando una bellissima faggeta per poi risalire il fianco est della Torre Genziana. Nonostante sia agosto, i prati sono ancora verdi ed in splendida fioritura, ci sono perfino maggiociondoli in fiore. Lungo una cengia esposta ma attrezzata aggiriamo la Cresta Berdo, il marcato crestone che si protende dalla Cima Verde verso nord-est entrando in un ampio colatoio. Superiamo alcune balze di roccia levigate dall’acqua ed arriviamo senza ulteriori difficoltà al Bivacco Stuparich. Sono le 13. Massimo dice che c’è il tempo per fare l’Amalia e chiudere l’anello delle Giulie. Sono perplesso, non sono stanco, mi sento in forma ma temo dell’eccessiva difficoltà tecnica della via, non ho esperienza nell’arrampicare. Aldo è sdraiato sotto una pianta di ontano, il suo sguardo è “lontano” (fa pure rima …), non si è neppure tolto lo zaino, non ce la fa più, anche Cristina non è da meno. Massimo insiste per andare e mi tenta, Cristina mi porge il kit da ferrata, come posso rifiutare, nei giorni scorsi ho letto e riletto relazioni sulla Via Amalia, ce l’ho in mente come l’avessi già fatta, perbacco … non posso tirarmi indietro! Come una staffetta, a questo punto la coppie di scambiamo, io e Massimo proseguiamo per la Via Amalia, Aldo e Cristina scendono al Rifugio Grego e poi alla Sella di Somdogna dove recuperano l’auto per tornare sull’altopiano del Montasio al Rifugio Brazzà e dove pazienti aspetteranno in nostro arrivo.
Massimo mi dice “vai avanti che io ti raggiungo, devo fare una telefonata ai miei amici che ci aspettano questa sera, domani faremo il Canin”. Mi faccio coraggio e salgo in direzione della parete nord del Montasio, fino al colmo di un ghiaione (dove c’è dell’acqua) e alla successiva morena, traversando a destra una spiccata torre grigia alla cui base inizia la ferrata. Massimo mi ha raggiunto ed è già davanti. Dopo alcuni salti rocciosi, il percorso diventa subito impegnativo: prima una esposta traversata poi due ripidi canali sopra i quali si innalza una parete verticale. La risaliamo per 15 metri e poi procediamo per un costone inclinato fino alla base di un altro camino. Con passaggi non semplici raggiungiamo una forcelletta. Scendiamo alcuni metri e ci troviamo al punto chiave dell’itinerario: un camino leggermente strapiombante ma ottimamente attrezzato che sbuca su una forcella erbosa. Continuiamo lungo il ripido pendio del catino superiore, l’ambiente é unico e varia continuamente, superandolo verso destra, arrivando alla conca mediana talvolta coperta di neve fino a stagione inoltrata. Verso sinistra guadagniamo il terzo circo detritico su cui incombe la Torre Nord. E ancora per ripidi pendii erbosi, fortunatamente attrezzati, raggiungiamo la cresta panoramica della Spalla Nord, con vista vertiginosa sulla Val Dogna da un lato e sulla Val Sàisera dall’altro. In discesa, attraversiamo un canale e superiamo il suo margine erboso, poi ancora un altro traverso e alcune roccette ci conducono alla comoda cengia che girando lo spigolo nord del Montasio ospita il singolare bivacco Suringar (2.430 mt). A fianco del bivacco (4 posti) c’è un gruppo di stambecchi, alcuni adulti con dei “piccoli”. Il Suringar è incassato in un angusto anfratto che strapiomba sulla sottostante Clapadorie (in friulano “località piena di sassi”), la profonda gola rocciosa lunga più di un chilometro sul fondo del torrente Montasio. Mi fermo per fare delle fotografie ma Massimo mi sollecita a proseguire, si sta facendo tardi e bisogna ancora risalire il Canalone Findenegg che, posto proprio di fronte al bivacco, porta in vetta. Un rapido consulto al “Buscaini”, “si la via è giusta, muoviti”, mi dice Massimo. Attraverso salti e cenge non attrezzati saliamo il canalone che continua per il ramo sinistro diventando detritico fino alla cresta nord-ovest sommitale che porta rapidamente sullo Jof di Montasio (2.753 mt). Sono le 17:15, che salita grandiosa, che panorama. Qui, sulla cima del Montasio, si trova una croce ed una campana posta dalla Società alpina delle Giulie in memoria dell’alpinista triestino Riccardo Deffar, accademico del Caai. Massimo, accademico pure lui, la suona, per lui è stata una passeggiata, per me una delle salite più impegnative mai fatte. Il tempo per mangiare qualcosa, fare qualche foto e poi giù per la via Normale che scende sull’altopiano verso il Brazzà. Sopra di noi volteggia un’aquila, ci osserva. Percorriamo tutto il panoramico spallone orientale, quasi in piano, poi su ripido ma facile sentiero in parte attrezzato raggiungiamo la Scaletta Pipan, lunga quasi 60 metri, che ci conduce alla base di uno sperone roccioso. La scaletta è leggermente appoggiata e pur non essendo particolarmente difficile può essere esposta alle scariche di sassi mossi dagli alpinisti già in cresta. Noi non avremo questo problema poiché essendo partiti tardi non incontreremo nessuna persona ne in salita ne in discesa, la scelta di partire dallo Stuparich alle 13 è stata positiva. Da questo punto il sentiero diventa escursionistico con andamento sinistra-destra fra roccette e zone erbose, si supera una punta rocciosa che ricorda la “sfinge egiziana” e si arriva alla Forca dei Disteis (2.201 mt). Qui Massimo, che con pazienza mi ha aspettato per tutto il percorso, mi dice “ io vado avanti, ti aspetto al Brazzà”. Mi immetto sull’enorme ghiaione, dopo aver superato un gruppo di stambecchi che non voleva spostarsi, e lo discendo verticalmente proprio che se stessi sciando su della neve fresca. Terminato il ghiaione, incontro il sentiero che attraversando l’altopiano mi porta al rifugio Brazzà, sono le 20 e sta iniziando a fare buio. Nei pressi del rifugio mi vengono incontro Massimo e Cristina, è tardi ed hanno fretta di ricongiungesi con i loro amici. Una stretta di mano a Massimo, chissà forse ci rivedremo per un corso alla “Gervasutti”, un bacio a Cristina ed un reciproco ringraziamento per la compagnia. Dal rifugio mi raggiunge anche Aldo, mi ha aspettato per cenare insieme, mi dice “sai quando ti ho visto partire dallo Stuparich per la Via Amalia ero così stanco che proprio non ti invidiavo … bravo, hai fatto una grande impresa”. Gli rispondo “si, ho camminato 13 ore, è stato faticoso ma ciò che ho potuto vedere lassù è stato qualcosa di unico e straordinariamente bello”.

Paolo Manenti
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Autore Commento
Jacolus
Inviato: 23/8/2009 20:05  Aggiornato: 23/8/2009 20:05
Iscritto: 5/12/2008
Da: Piasco
Inviati: 10819
 Re: Giulie Occidentali 16-17-18 agosto 2009
Bellissimo! chissà se un giorno potrò anch'io andare in quei luoghi per avere le stesse sensazioni così poeticamente descritte!

Autore Commento
emilio
Inviato: 23/8/2009 17:45  Aggiornato: 23/8/2009 17:45
Guru
Iscritto: 25/7/2005
Da: Rivoli
Inviati: 324
 Re: Giulie Occidentali 16-17-18 agosto 2009
Bel film!davvero un bel film.
peccato che Aldo non fosse sufficentemente allenato(e si che ti conosce bene!).

nota:le foto sono troppo piccole.
scaricati "lafioca generator", il programmino di Enrico.
Te le dimensiona correttamente e in automatico le carica.
ciao
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