Estate del 1984. All’inizio del mese di Luglio io ed Aldo eravamo allenati e facevamo coppia fissa.
Dalla fine del mese di Aprile ogni due settimane facevamo una salita su ghiaccio; ricordo con piacere la salita dei canali delle Punte Bastia, del Caprera, della Savina, del Rocciamelone, gli scivoli della Monciair, della Chalanson.
Il filo conduttore che legava tutte le salite che facevamo insieme era l’applicazione alla lettera, (anzi lo estremizzavamo al quanto “stile taleban”) del “Manifesto Vota”.
Mai sentito parlare di questo trattato filosofico alpinistico? Si tratta di una serie di proposte ( del Sig.Vota ) di come si dovrebbe ( o come si doveva ) frequentare la montagna in modo meno turistico e più vicino alla maniera dei pionieri dell’alpinismo. Perciò si bandivano le funivie, i rifugi, ecc.ecc.
Anche la volta del “tentativo” alla Piccola Ciamarella avevamo programmato la gita con questa filosofia, perciò nessun pernottamento in rifugio, nessun piatto di pasta asciutta ma un bel bivacco a 3000 metri e qualcosa di caldo fatto con il fornellino.
Così il primo ( o il secondo? ) sabato di luglio partimmo dal Pian della Mussa con destinazione il Passo Chalanson dove avremmo dovuto bivaccare.
Dopo aver preso dal baule della mitica R4 rossa di Aldo gli zaini, ci incamminammo verso il Gastaldi, per poi proseguire verso il colle. Arrivati nei pressi del rifugio puntammo direttamente al Ghiacciaio di Pian Gias e dopo averlo risalito proseguimmo verso la sella nevosa dove avevamo l’intenzione di porre il bivacco.
Penso che mancasse ancora una mezzoretta per arrivare al colle quando ci trovammo su un piccolo spiazzo abbastanza pianeggiante, innevato ma in piano. Luogo ideale per poter stendere i sacchi letto e dormire qualche ora. Così ci preparammo per passare la notte, penso che fossero già le 8,00 perché poco dopo si fece notte. Il programma era che il giorno successivo, dopo aver sceso un pezzo del ghiacciaio des Evettes ci saremmo portati all’attacco della parete Nord della Piccola Ciamarella per risalire la via Dionisi, una volta arrivati in punta avremmo percorso la cresta fino alla Punta Chalanson e saremmo ridiscesi al Pian Gias e giù al Pian della Mussa.
Dopo aver cenato ci coricammo a guardare un cielo pieno di stelle, miliardi di stelle luccicanti.
Come si sa, in quel periodo le previsioni meteorologiche erano abbastanza approssimative, frequentemente le sbagliavano alla grande, come quella volta !!
Avevano dato bel tempo per il fine settimana, ma non fu così. Dopo poche ore di sonno fui svegliato dal ticchettio della grandine sul copri sacco, chiamai Aldo ma non mi rispose. Dormiva alla grande. Pensai che a quell’ora, erano circa le tre, non avremmo potuto fare nulla, così mi risistemai dentro il sacco. Ma ormai mi ero svegliato e non riuscivo più a prendere sonno.
La nuvola passò, si rivedevano le stelle ma altre nuvole erano in arrivo. Infatti poco dopo iniziò a nevicare, poco, ma dopo circa mezzora sia gli zaini sia noi eravamo coperti da uno strato di neve. Chiamai nuovamente; “Aldo, Aldo, svegliati!”.
Nulla, silenzio assoluto. Dal sacco/bivacco di Aldo non c’erano segni di vita.
Riprovai;”Aldo, Aldo!!”.Nulla, non rispondeva.
Erano le 4,00 e stava nevicando, ormai era evidente che ci dovevamo preparare in modo da essere pronti al ritorno verso valle. Uscii dal mio rifugio e inizia a scuotere l’amico dormiglione, ma neanche così ci furono segni di vita.
A questo punto iniziai a preoccuparmi, aprii il suo sacco, lo scossi di nuovo, iniziò a farfugliare qualche cosa che non riuscivo a comprendere ma mi fu subito chiaro che c’erano dei problemi.
Aldo non era reattivo, l’unica parola che capii fu “…male “.
Continuavo a chiedere “cos’hai, cos’hai!”, ma lui non rispondeva, anzi, ad un certo punto mi sembrò che gli occhi puntassero in alto, era in uno stato di totale assenza.
Non c’era un minuto da perdere, dovevo assolutamente correre al rifugio a cercare aiuto, richiusi la cerniera lampo del suo sacco, presi il mio e glielo misi tra lui e la neve, poi avvolsi il tutto con il telo spaziale.
Presi la piccozza e giù ….a rotta di collo in cerca d’aiuto.
Man mano che scendevo la neve si trasformava in pioggia, ero stravolto dalla tensione e un senso di colpa mi opprimeva, non riuscivo a pensare ad altro e mi chiedevo di continuo; “avrò fatto bene a lasciarlo da solo?”.
Arrivai al rifugio, penso verso le 6,00, qualcuno si era già alzato e stava facendo colazione ma la maggior parte delle persone erano ancora a letto, visto la giornata di pioggia.
Chi mi vide arrivare capì subito che era successo qualche cosa. Il gestore, se ricordo bene si chiamava “Gene”, mi si fece incontro e mi chiese di spiegare cosa stava succedendo. In poche parole lo informai della situazione di Aldo, lasciato da solo in uno stato di prostrazione, lassù in alto.
Combinazione vuole che quel giorno al rifugio c’erano i ragazzi del Soccorso Alpino di Pianezza i quali avrebbero dovuto fare delle esercitazioni. Gene salì al piano superiore a chiamarli, nel giro di dieci minuti una decina di soccorritori era pronta a partire.
Mi dissero di stare al rifugio per asciugarmi e riposarmi, figuratevi! Come potevo stare lì ad aspettarli. Mi accodai al gruppo e risalimmo il Pian Gias, i più veloci, fra cui il Dottore, accelerarono il passo, io rimasi indietro con altri tre. Quando arrivammo al bivacco avevano già coricato Aldo nella barella, poi il Dottore mi disse che gli aveva già fatto un’iniezione e che a prima vista si trattava di un collasso. I ragazzi si divisero il contenuto dello zaino di Aldo e ci rimettemmo in cammino verso il Gastaldi. Nel frattempo smise di piovere e grazie all’iniezione ( di cosa ? ) Aldo ritornò in sé e disse che si sentiva meglio. Arrivammo al rifugio dove il Dottore lo rivisitò, gli
fece un’altra iniezione, mi tranquillizzò dicendomi che non mi dovevo preoccupare, era tutto sotto controllo. Lo spogliammo e mettemmo i suoi abiti vicino alla stufa, gli facemmo bere del the caldo e dopo un po’ ripartimmo per scendere giù.
Se ricordo bene ogni 10-15 minuti si davano il cambio nel portare la barella, eravamo tutti tranquilli per il fatto che Aldo stava meglio e non c’era veramente urgenza di scendere a valle.
In un punto delicato della discesa fecero con una corda un passamano di sicurezza per chi trasportava la barella. Così pian piano nel primo pomeriggio arrivammo alle macchine.
Il Dottore rivisitò il mio amico e disse che non era il caso di chiamare nessuna autoambulanza ma consigliava di andare il giorno dopo a fare una serie di esami.
E così nei giorni successivi Aldo fece gli esami e il suo Dottore confermò la diagnosi del Soccorso Alpino, la causa di tutto fu un piccolo collasso. La terapia era ridurre l’attività fisica e prendersi un po’ di riposo. Aldo essendo scapolo era sempre in movimento, montagna, piscina, bici.
Così decise di ridurre lo sport e abbandonò la piscina e la bicicletta.
Dopo un mese di riposo ritornò in montagna senza avvertire nessuna conseguenza al malore.
Negli anni seguenti riuscimmo ancora a combinare delle gite insieme fino a che gli impegni o di uno o dell’altro non ci permisero più di incontrarci così di frequente.
Anche se non andavamo più in montagna insieme come una volta, con Aldo abbiamo sempre mantenuto un rapporto di amicizia e quando ci incontravamo mi raccontava delle gite di scialpinismo che faceva e delle sue escursioni. Nel periodo in cui le mie gite si erano diradate mi rincuorava dicendomi che; “tanto le montagne sono sempre lì, non ti preoccupare, abbiamo tutta la vita per salirle”.
Lo vidi un anno fa e mi disse che alla fine dell’anno sarebbe andato in pensione, una meta ambita, così avrebbe avuto più tempo per fare delle gite e continuare gli studi di teologia. Sì, di teologia, Aldo era un frate mancato. Da ragazzo aveva studiato in seminario, poi i casi della vita e la cosa più importante, un ripensamento sulla sua vocazione, lo avevano portato a fare altro. Ma andando in pensione, forse….chissà.
Giorno di Natale 2008.
Un amico mi telefona per farmi gli auguri e mi dice che Aldo è in ospedale, qualche giorno prima ha ricevuto una telefonata dalla cugina ( unica parente ) di Aldo, la quale gli ha dato una brutta notizia, la malattia lo sta uccidendo velocemente, “ non più di due o tre mesi di vita!”.
“Ma come…cosa è successo?”. All’inizio di novembre Aldo è andato in pensione, il giorno 21 novembre stava andando con un amico a fare un ritiro spirituale in un monastero in Francia e durante una sosta del viaggio, scendendo dalla macchina è caduto lungo e tirato per terra, le gambe all’improvviso non lo reggevano e inoltre aveva una fitta alla schiena.
Un male, subdolo, vigliacco e devastante lo aveva colpito a tradimento, nella schiena, al midollo spinale. Chissà da quanto tempo.
Ricovero in ospedale, esami, contro esami, deperimento a vista d’occhio.
Il giorno di Santo Stefano corro al suo capezzale, quando mi vede mi sorride, è contento di rivedermi ma fa fatica a parlare.
Domenica 28 dicembre Aldo Abrate muore, gli amici di un vita sono lì con lui.
Grazie Aldo, cinquantottenne, amante dell’alpinismo classico, per l’amicizia incondizionata verso tutti noi, per l’esempio di bontà e generosità che ci hai sempre dato.