Dopo assenze di mesi, scopro una tematica intrigante. Belli questi flash all'indietro. Ne aggiungo uno, di quando andavamo in giro appunto infilando la corda nei pantaloni. Altre bagatelle del genere le trovate da queste parti:
http://gpcastellano.splinder.com/
Con la corda nei pantaloni ed una piccozza in tre andavamo su per il ghiacciaio.
Altro che nodi a palla, imbragature, autobloccanti.
La voglia di esplorare e di capire era tanta, le idee e le avventure sbocciavano all’improvviso la domenica sera, di ritorno da una gita.
Mai parlare delle montagne già fatte, ma sempre e soltanto di ciò che era ancora da scoprire.
Pendevamo dalle labbra degli alpinisti, quelli veri, che andavano in cordata e piantavano i chiodi. Noi, quando eravamo particolarmente attrezzati, avevamo giusto una corda, riposta in fondo allo zaino più capiente, e la srotolavamo con circospezione, lontano dagli sguardi dei veri esperti. Asola, nodo in vita, per maggiore sicurezza un giro attorno alla cintura dei pantaloni. E via, per ghiacciai e creste. Assicurazione a spalla, attorno ad uno spuntone.
“Salga pure, da qui posso reggere una vacca”. Le imperiture parole della guida famosa ci assistevano nel corso delle ”Sicure” più inverosimili, incastrati in diedri e massi, pericolanti sul vuoto, sbilanciati ed allucinati.
E la tecnica? ed i corsi del CAI? ed i consigli dei veri esperti?
Esistevano, eccome, no, ma erano per chi andava in montagna sul serio. Noialtri, modestamente, ci limitavano ad osservare di nascosto le manovre dei più bravi.
La Fortuna sfacciata ci assisteva senza vergogna.
Solo dopo qualche anno arrivarono anche per noi corsi, consigli e giuste frequentazioni.
Aumentò la sicurezza, aumentarono le “performance” e le vie di prestigio. Gli zaini si riempirono di oggetti strani, ognuno con la propria funzione e ragione di esistere.
Ad ogni punto di sosta balenavano chiodi, moschettoni, cordini. I manuali di alpinismo vennero letti, riletti, chiosati e confrontati.
Qualcuno, dopo assenze di mesi, ricomparve sfoggiando patacche, diplomi e distintivi. Nulla poteva più essere lasciato alla improvvisazione: cordate, mete ed orari erano definiti a distanza di settimane, era necessario prenotare soci e capicordata.
Però qualcosa era andato irrimediabilmente smarrito, tra una lezione teorica e l’uscita pratica: lo spasimo segreto che prova una gatta sul tetto che scotta (mitica Liz, ve la ricordate?). Lo sbalordimento di ritrovarsi su di una cima che mai si sarebbe pensato di raggiungere. L’inquietudine azzurra dell’avanzare su di un ghiacciaio coperto di neve, con la corda nei pantaloni.
Caselle, 15 aprile 2006 programmando una gita in montagna