Ogni primavera il CAI UGET di Torino organizza una settimana scialpinistica e quest'anno (1983) la scelta è caduta sulle Alpi Marittime: una traversata dal Colle di Tenda alla Valle Stura. Non sono iscritto all’ UGET, ma grazie ad un amico mi accettano nel gruppo dei partecipanti. La sera della riunione che precede la partenza conosco Beppe, l’organizzatore, uno degli istruttori della Sezione. Per me è uno anziano, ha “già” 55 anni! Conosce le Marittime come le sue tasche perché sono praticamente l'unico territorio che frequenta con gli sci ed è lui ad aver tracciato sulla carta l'itinerario che ci propone e che in gran parte ha già percorso. Ci distribuisce un foglio dattiloscritto con le sette tappe previste, dove sono indicati i punti di partenza, quelli d’ arrivo, i colli, le cime, i dislivelli e tempi approssimati, niente di più. Il gruppo- una decina- è eterogeneo, c'è chi ha già una discreta esperienza è chi è alle prime armi, ma già dal primo giorno, al rifugio di Valmasque nella Valle delle Meraviglie, Beppe è riconosciuto unanimemente come “il capo”: ci va bene che si sia occupato di telefonare al custode del rifugio francese della Cougurde, che proponga l'ora delle sveglie e dove sia meglio passare. Le partenze sono più che militaresche: in 20 minuti esatti dalla sveglia bisogna vestirsi, piegare le coperte, fare colazione ( l'acqua calda per il tè la fa bollire sempre Beppe per tutti) preparare lo zaino e uscire fuori: chi c'è, c'è! Il quinto giorno arriviamo nel primo pomeriggio al passo di Brocan e scendiamo con neve bellissima al Rifugio Remondino, nel cuore dell’Argentera: su quella neve tutti riusciamo a sfoggiare una certa estetica nelle curve…tutti tranne Giovanni, il quale scia sempre, per principio, a spazzaneve. Il Remondino in questa stagione è incustodito e siamo i soli, quindi abbiamo tutti i letti e la cucina a nostra disposizione. Ognuno di noi ha una sua storia e un motivo che ha alimentato il desiderio d’esser lì e c’è venuto superando i 12 ostacoli e le 7 ragioni che lo trattenevano nel suo consolidato quotidiano. Come Silvia, l’unica donna del gruppo, che fa il jolly all’Istituto bancario San Paolo e corre a sostituire i dipendenti nelle agenzie di tutta Italia quando sono in ferie o in malattia: appena è avvisata del buco da coprire, prende il primo treno o l’aereo per andare dove le hanno detto. Come due giorni prima di partire con noi per il raid, che l’hanno spedita a Roma ed è tornata la sera giusto in tempo per prepararsi lo zaino. Giovanni parla poco e lentamente e non socializza gran che, ma la sera del Remondino, quando abbiamo finito di cenare estrae dal suo sacchetto dei viveri una noce ed esordisce così:
-Scommettiamo che riesco a spaccare questa noce senza usare alcun attrezzo, né le mani…e neppure i piedi naturalmente?-
Siamo un po’ perplessi, lui ci guarda enigmatico da dietro i suoi spessi occhiali andreottiani, qualcuno pensa ai denti o alle ginocchia-
-Dai, facci vedere!-
Lui appoggia la noce sul tavolo, ne prende un’altra tra indice e pollice con la mano sinistra, la tiene ferma sulla prima e abbassa la testa appoggiando la fronte sulla noce che tiene in mano. A quel punto alza la mano destra serrata a pugno e si sferra un colpo tremendo sulla nuca. Con un certo stupore sentiamo il crack del guscio frantumato. Giovanni raccoglie e si mette in bocca soddisfatto i pezzi di gheriglio, mentre tutti ridono e qualcuno prova ad imitarlo. Anche tra gli sci alpinisti c’è gente strana! Esco fuori a vedere che tempo fa: è freddo e sereno, il chiaro della Luna ha dato il cambio alla luce del sole e illumina un mondo primordiale di una bellezza che mi provoca una leggera vertigine…chi sarà “che li accende e li spegne?”. Ma non devi farti troppe domande, questo è un pacco dono che include la condanna a non avere risposte e comunque, se Dio ha giocato a dadi, dev’essere uscito il 12! Sono sicuro che di questa luce al Remondino me ne ricorderò anche tra quarant’anni…se sarò ancora vivo! Quando rientro Beppe ha già messo l’acqua nella pentola più grande per il te dell’indomani e fissa la sveglia dell’orologio alle 6.15, perciò alle 6.35 saremo tutti fuori. Non tutto però si può programmare nella vita, così al mattino io ho necessità assoluta di andare al bagno, che nella situazione contingente significa uscire fuori alla luce della pila frontale, allontanarsi di qualche metro dal rifugio, combattere con la salopette e cercare di essere il più rapido possibile senza fare danni: stimo che mi ci vorranno minimo 4-5 minuti e quindi sarò costretto a partire in ritardo, da solo, inesorabilmente distanziato già nel primo tratto. Infatti mentre sono ancora dietro al rifugio sento gli altri, già bardati, che parlottano tra di loro e armeggiano con gli attacchi e poi lo scricchiolio dei loro sci che si allontanano sulla neve gelata e la voce di Beppe che voltandosi indietro grida: ” L'ultimo chiuda la portaaa!”.
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