Il giorno che Ice infilò il muso in un’increspatura della neve fiutando un insolito flusso d’aria fresca e cadde nel crepaccio di un qualche ghiacciaio svizzero, Giorgio non lo aveva ancora legato all’imbragatura perché in quel tratto non pareva ci fossero crepacci. Le guide svizzere, avvisate, arrivarono in elicottero in pochi minuti, ma il cane sembrava essere molto giù, non si vedeva, né si sentiva, poteva anche essere morto. Però si sa, gli Husky sono cani silenziosi, non si lamentano mai, non abbaiano, dunque poteva anche essere vivo. Le guide dissero a Giorgio che comunque il loro regolamento non prevedeva salvataggi complessi di animali e anche se erano molto dispiaciuti non potevano calarsi. Non rimaneva che una teorica possibilità: se qualcuno fosse stato disponibile ed abbastanza esperto in manovre alpinistiche, loro -le guide- avrebbero piazzato il supporto con il verricello, assistito la calata ed effettuato il recupero. Giorgio però era troppo vecchio e l’amico pure, le guide dissero di no. Giorgio allora telefonò al figlio, Luca, che si trovava in Spagna, dove lavorava come preparatore atletico della nazionale femminile di sci alpino. Lui era il vero padrone di Ice, anche se da anni lo teneva il padre. Non ci pensò su più di 30 secondi, salì in macchina, viaggiò tutta la notte e in 12 ore arrivò in Svizzera. Mostrò alle guide il brevetto del Soccorso alpino Italiano e pure quello da elicotterista. Loro gli fecero firmare una dichiarazione liberatoria sulle responsabilità del Soccorso Alpino Svizzero, lo imbarcarono sull’elicottero e tornarono su, presso il crepaccio. Luca, agganciato al verricello fu calato per 25 metri nella fessura del ghiacciaio finché il fascio luminoso della pila frontale illuminò gli occhi celesti del cane, che lo aveva già fiutato da tempo. Ice salutò il suo padrone ricambiando le carezze con qualche leccata di festa e con una zampata di ringraziamento, il massimo che si può chiedere ad un Husky. Non aveva nulla di rotto e meno che mai aveva patito il freddo. Si lasciò tranquillamente agganciare al cavo e dopo un minuto rivide la luce del sole. Luca, Giorgio e l’amico festeggiarono l’insolito salvataggio con le guide svizzere ed offrirono loro il pranzo. Giorgio da allora non ha più portato il suo cane sui ghiacciai, ma i due hanno continuato a fare gite assieme fino a quando sono vissuti.
Questa storia me l’ha raccontata a voce Giorgio, ma sta pure dentro a qualche videocassetta della cineteca RAI perché fu registrata una puntata di “Ultimo Minuto”, la trasmissione di RAI 3 presentata da Simonetta Martone e Fabrizio Mannoni, andata in onda dal 1993 al 1997, che ricostruisce esattamente l’ episodio.
Di quel giorno iniziato male e finito bene non ho foto, perché non c’ero. Ne ho altre invece di Ice, scattate in occasioni meno drammatiche, tra cui quella che lo ritrae al monte Selletta, sopra Prali, durante la lunga traversata a piedi, per cresta, Selletta-Vergia-Roudel- Frappier- Gran Queiron-Rasin, nella sua solita espressione ieratica, la stessa che certamente aveva quando uscì dal crepaccio. Per quanto riguarda la salita alla punta Vergia, Ice aprì una via nuova sullo scosceso e impraticabile versante della Val Germanasca, perché un cane non può salire il diedro di una decina di metri che precede la cima. Mentre effettuava il delicato aggiramento deve aver guardato con invidia gli stambecchi che zampettavano agili e beffardi su quelle cenge erbose a picco sul paese, sognando di azzannarne almeno uno alla gola appena si fosse distratto. Ci raggiunse, con la sua solita aria dimessa e un po’ seccata, sulla cima, passando sotto alla croce e sbucando un po’ prima del passo della Scodella. Alla fine di quella giornata Giorgio ed io avevamo salito e sceso per la cresta spartiacque 6 cime – Il Selletta, la Vergia, La Roudel, la Frappier, il Gran Queiron, la Rasin - con almeno 2.200 metri di dislivello e 12 chilometri di sviluppo, di cui 6 di cresta, e Ice molti di più, lungo varianti sconosciute a chiunque. Alle 18.00, strascinando un po’ i piedi e rosolati come gamberi entravamo per la birra meritata al Bar delle Alpi, da dove eravamo partiti alle 6,30 senza neppure esserci attardati per raccogliere il genepy. Sì, ci sentivamo pronti per la traversata del Pelvoux, in programma di lì a due settimane. Ice no, lui non sarebbe venuto, perché al Pelvoux , sul ghiacciao des Violettes, ci sono troppi crepacci. E infatti mentre noi andammo al Pelvoux, lui rimase ad aspettarci sonnecchiando sul balcone di casa a Prali, chiedendosi probabilmente perché mai avesse dovuto fare tutta quella insensata fatica su è giù per pendii di pietre aguzze ed infide, adatte ai caproni cornuti e non ai nobili cani delle piatte lande siberiane.
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Nelle foto:
1-Ice sul Monte Selletta; di fronte la Vergia con lo scosceso versante pralino a sinistra. Ore 8.30
2- La cima della Vergia. Ore 10.00
3- Giorgio Ribetti sulla cima del Gran Queiron. Ore 14.30. Luglio 1992
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