Al colle del Pasquale ci separiamo: Alfonso è in crisi esistenziale e decide di tornare indietro, al Rifugio Branca, dal quale siamo partiti e poi a Torino: deve lasciarci l’auto, arrivare a Bormio in qualche modo e lì cercare un pullman. Franco ed io invece proseguiamo come previsto sulla vedretta di Cedec e raggiungiamo in discesa il rifugio Pizzini. Il giorno dopo riusciamo a salire il Gran Zebrù, la cima più alta della zona, che ci ripaga della rinuncia di due giorni prima al Palon de La Mare a causa del vento fortissimo. L'ultimo giorno il tempo si mette al brutto, siamo incerti: ci attende la traversata per il Colle delle Pale Rosse al rifugio 5° Alpini e di li una lunga discesa nella Valle di Zebrù . Decidiamo alla fine di partire, poi si vedrà. Al Colle inizia a nevicare, e la visibilità non è granché, ma raggiungiamo comunque in 20 minuti la Cima della Miniera e quando scendiamo la corda fissa di metallo è già coperta da due dita di neve. Raggiunta la Vedretta dello Zebrù ci leghiamo e appena fatta qualche curva siamo nella nebbia. Con l'altimetro speriamo di trovare in fretta il rifugio, invece vaghiamo due ore di qui e di là, in su e in giù, e poi di nuovo di qui e di là, in su e in giù, ma del rifugio neanche l’ombra, solo seracchi grigiastri che si materializzano all’improvviso e bianco che stordisce. Siamo preoccupati, anche se calmi.
-Eppure l’altimetro segna 2.840 metri, la quota del rifugio, e il Thommen non sbaglia, al massimo 10 o 20 metri di errore visto che la pressione sarà scesa…-
- Si, ma potremmo essere spostati anche di 300 o 400 metri a sinistra o a destra!-
-Che si fa? Aspettiamo una schiarita?-
-Mh!...continuiamo a cercare, mantenendo la stessa quota, tenendoci a 30 metri di dislivello tra noi.-
-Aspetta, prima provo a vedere com’è la neve, non si sa mai che si debba passare la notte qui, non fa niente freddo per ora, ma nel caso dovremmo scavarci un buco… e siamo senza pala!-
Mi tolgo lo zaino, prendo la piccozza e scavo un po’. Sento che sotto alla coltre di 15 centimetri di neve fresca soffice appena caduta c’è un’altro strato compatto, allora sferro un colpo deciso e la piccozza non entra.
-Cacchio, ma non è roccia, è ghiaccio! Ghiaccio vivo! Com’è possibile che ci sia già ghiaccio così in superficie? !-
- Beh...forse li chiamano “ghiacciai” per questo, ti pare?-
Ci rimettiamo in moto e finalmente, in una breve schiarita, Franco avvista il paletto di metallo che segnala il rifugio, proprio come c'è scritto nella relazione: è solo un banale paletto anche un po' storto, ma è la visione più bella degli ultimi anni, infatti sotto di esso, a 50 metri, compare il tetto del rifugio: l’altimetro sbagliava per eccesso di almeno 80 metri! Ci riscaldiamo e prepariamo un purè liofilizzato poi, sciolta finalmente l’ansia accumulata nelle ore precedenti, riprendiamo quasi euforici la discesa lungo la Val Zebrù, immersa nella foschia, ma ormai fuori dal ghiacciaio e con una discreta visibilità che ci da tutti i riferimenti che servono. Scendiamo per chilometri e chilometri fino ai prati di S.Nicolò di Bormio dove la pioggerella è diventata di nuovo neve. L’R4 di Franco è lì, solitaria, modesta e desiderata dove l’abbiamo lasciata 4 giorni fa e per fortuna parte al primo giro di chiave: piccola grande R4!. Quando carichiamo gli sci sul portapacchi sono le 19,30 ed è quasi buio. Partiamo senza mangiare, il viaggio di ritorno è lungo, gli occhi mi si chiudono, ma non devo assolutamente addormentarmi, devo parlare per tenere sveglio Franco, impegnato con tutte le forze residue per resistere al ritmico click-clack dei tergicristalli, che peggio di sirene incantatrici lo vogliono trascinare tra le braccia di Morfeo. Per fortuna tra poche ore è il 1° maggio e potremo dormire, dormire quanto basta.
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