Nonostante la sua riservatezza sabauda e la parsimonia montanara nei discorsi, ora, davanti ad una birra in un bar di Chamonix, vedo gli occhi cerulei di Giorgio sprizzare serenità e quasi allegria. Come fa spesso prima di dire qualcosa su cui ha riflettuto, o che lo emoziona, oscilla in modo impercettibile la testa, un’ abitudine, un tic che si nota appena. Mi racconta di quando da bambino, subito dopo la guerra, lui e suo fratello andavano a catturare le vipere in alta Val di Lanzo per venderle al farmacista che ne ricavava l’antidoto: è lì che deve aver imparato quell’equilibrio naturale nel muoversi sulle pietre, anche nell’oscurità che precede l’alba, quell’equilibrio che non si impara ai corsi d’alpinismo. Ora, a 58 anni, ha coronato il sogno di salire al Monte Bianco: allora mi sembrava una vecchiezza notevole per fare la traversata del Monte Bianco, specialmente per uno che macinava centinaia di chilometri in auto per vendere polli all’ingrosso e che aveva un po’ di pancetta: invece è stato sempre davanti a me. La birra gelata mi scivola benefica in gola in questo luglio torrido e anomalo, anticipatore del riscaldamento globale che sta arrivando, il caldo e l’alcol mi ottundono leggermente i pensieri e nel torpore da stanchezza e rilassatezza ho l’impressione di riuscire a vedere sulla sua spalla destra la piccola scimmia che tutti noi alpinisti portiamo addosso e ci costringe ogni volta a partire.
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